venerdì 19 novembre 2010

Santa Maria Goretti

L'infanzia
Maria Goretti, terzogenita di sette figli, nacque a Corinaldo, in provincia di Ancona, il 16 ottobre 1890, da Luigi Goretti e da Assunta Carlini, poveri ma onesti e religiosi contadini, che vivevano coltivando un piccolo appezzamento di  terra. Fu battezzata entro 24 ore dalla nascita nella Chiesa parrocchiale di 5. Pietro con i nomi di Maria e Teresa. 
Madrina fu la zia Pasqualina Goretti. All'età di sei anni, il 4 ottobre 1896, nella stessa Corinaldo, insieme col fratello Angelo, ricevette la Cresima da S.E. Mons. Giulio Boschi, vescovo di Senigallia. 


Col crescere della famiglia il terreno di Corinaldo si dimostrò insufficiente a provvedere al suo sostentamento. Perciò i Goretti decisero di lasciare il loro paese, al quale erano tanto affezionati, e, verso la fine del 1896, si trasferirono a Paliano, in provincia di Frosinone, stabilendosi in località Colle Gianturco, dove presero a colonia il podere Selsi. 
Vi restarono circa tre anni. Dapprima lavorarono da soli; poi,durante il terzo anno, si unirono in società con Giovanni Serenelli, il quale aveva due figli: Gaspare, che presto si separò, e Alessandro. Le due famiglie dividevano lavoro e raccolto; però vivevano ognuna per conto proprio. Nel febbraio del 1900 sia i Goretti che i Serenellì da Colle Gianturco scesero a Ferriere di Conca, a circa undici chilometri da Nettuno, avendovi trovato lavoro presso il Conte Attilio Mazzolenì. Fu loro assegnata una abitazione, che aveva nel mezzo una cucina per uso comune e ai lati tre stanze per ciascuna famiglia. Vi si accedeva dalla strada con una scala in muratura, che terminava, in alto, in un pianerottolo, sul quale si apriva la porta d'ingresso. Attualmente una delle stanze dei Serenelli non esiste più, essendo stata demolita per allargare il vano centrale.

LUIGI GORETTI nato a Corinaldo il 26 febbraio 1859 morto a Le Ferriere il 6 maggio 1900
ASSUNTA CARLINI nata a Senigallia il 15 agosto 1866 morta a Corinaldo 1'8 ottobre 1954
ANTONIO GORETTI nato a Corinaldo 30 gennaio 1887 morto a Corinaldo il 3 ottobre 1887
ANGELO GORETTI nato a Corinaldo il 28 agosto 1888 morto a Genova il 14 novembre 1965
MARIA GORETTI nata a Corinaldo il 16 ottobre 1890 morta a Nettuno il 6 luglio 1902
MARIANO GORETTI nato a Corinaldo il 27 gennaio 1893 morto a Pozzuoli il 12 aprile 1975
ALESSANDRO GORETTI nato a Corinaldo il 30 luglio 1895 morto in America nel 1917
ERSILIA GORETTI nata a Pagliano il 23 febbraio 1898 morta a Genova il 21 agosto 1981
TERESA GORETTI nata a Le Ferriere il 2 febbraio 1900 morta a Porano (Orvieto) il 25 febbraio 1981

Il clima dell'Agro Pontino, allora malsano, spezzò in pochi mesi la fibra robusta di Luigi Goretti, il quale, colpito da malaria e, successivamente, da tifo, meningite e polmonite, morì il 6 giugno 1900, lasciando nella desolazione la povera Assunta, alla quale, prima di spirare, consigliò di ritornarsene alla nativa Corinaldo. L'infelice vedova, temendo che nel paese di origine non avrebbe potuto in nessun modo guadagnare sufficientemente per il sostentamento dei suoi sei figli (uno, il primo, era morto a soli otto mesi di età), decise, a malincuore, di rimanere a Ferriere e di lavorare ancora in società coi Serenelli Maria, sensibile e affettuosa, ebbe il cuore lacerato per la morte del babbo. Tuttavia con tenerezza più che filiale e con profondo senso cristiano si dette a confortare la mamma affranta dal dolore. 
 Le diceva: "Coraggio, mamma! Che paura avete? Noi ora ci faremo tutti grandi e poi... Dio provvederà".

 L'assennata fanciulla all'epoca della perdita del padre, nonostante avesse circa dieci anni, non aveva fatto ancora la sua Prima Comunione. Ne aveva vivissimo desiderio e lo manifestava a sua Madre, ma costei, presa dal lavoro e sempre a corto di denaro, la rimandava a tempi migliori. Dì tanto in tanto avvenivano tra le due dialoghi come questo:
" Mamma, quando farò la Prima Comunione?... Io voglio ricevere Gesù. lo- Cuore mio, come la puoi fare, se non sai la dottrina? E poi non ci sono soldi per il vestito e non c'è un minuto di tempo libero."
  - Ma così non la faccio mai. Io non voglio stare senza Gesù. - Figlia mia, chi ti insegna la dottrina? - Dio provvederà. A Conca c'è Elvira Schiassi, la guardarobiera dei Signori Mazzoleni, che sa leggere; io, sbrigate le faccende, andrò da lei. La domenica viene qui D. Alfredo Paliani e lui pure me la insegnerà. Vinse la figlia. In undici mesi imparò il catechismo e il 16 giugno 1901, domenica dopo l'ottava del Corpus Domini, insieme con il fratello Angelo ricevette Gesù per la prima volta dalle mani di P. Basilio dell'Addolorata, Passionista, che dal 1899, per incarico della 5. Sede esercitava l'assistenza spirituale nelle Paludi Pontine. Il vestito bianco le fu comperato dalla mamma, che volle anche metterle indosso i suoi orecchini e la sua collana da sposa; il cero e le scarpine le furono regalate; il velo le fu prestato. Per tutto il giorno Maria rimase molto raccolta. Quando rientrarono in casa, la mamma le disse: "Ora dovrai essere più buona, perché hai ricevuto Gesù". Ed ella prontamente rispose: "Si, mamma, sarò sempre più buona". E mantenne la promessa.


 I Goretti, profondamente cristiani, si preoccuparono vivamente di dare una educazione religiosa e sana ai loro figli. La mamma, in particolare, benché analfabeta, fu sempre assidua nell'istillare i buoni sentimenti nei loro cuori, nell'inculcare le massime evangeliche, nell'insegnare i primi elementi del catechismo e le preghiere. Vigilava di continuo che non commettessero peccati, li conduceva alla messa festiva, voleva che tutti i giorni si recitasse il Rosario in famiglia. 
Maria, che sempre aveva corrisposto alle cure materne, dopo la sua Prima Comunione cominciò a camminare più speditamente nella via della bontà. Volle essere anzitutto l'angelo consolatore della mamma. Le infondeva coraggio e fiducia nella Provvidenza, la ubbidiva in tutto, cercava di alleggerirle il lavoro, pensando alla pulizia della casa, alla preparazione dei pasti, alla custodia dei fratellini, al rammendo delle vesti.
 Assunta dichiarò più volte che Maria (Marinetta, diceva lei) la obbedì sempre e mai le mancò di rispetto; che ai richiami, per errori involontari, non si ribellò mai e che fu sempre umile e servizievole. Ma anche verso i fratellini fu di una tenerezza squisita. Li assisteva in tutte le loro necessità, li spronava al bene, insegnava loro le preghiere e tutti i giorni, al mattino e alla sera, faceva loro recitare tre Ave Maria. Assunta poté attestare: "Voleva bene ai fratellini e li correggeva nei piccoli difetti. Li sgridava, quando mi disubbidivano... Essi la ripagavano di uguale affetto tanto che, quando li sgridavo o battevo io, ricorrevano a lei". 
Era molto pia e desiderava ardentemente di ricevere il Pane degli Angeli. Purtroppo però nell'anno, che trascorse dalla sua Prima Comunione alla morte, non poté accostarsi che quattro o cinque volte alla Mensa Eucaristica. I motivi furono soprattutto due: ella credeva che fosse necessario confessarsi prima di accedere alla Comunione ed il sacerdote, che andava a celebrare a Conca, non aveva la facoltà di rimettere i peccati; inoltre la chiesa di Conca talvolta, in estate, veniva chiusa e per comunicarsi bisognava andare un pò troppo lontano, o a Campomorto o a Nettuno. Questa impossibilità di partecipare al Banchetto Eucaristico costituì un vero tormento per lei, che amava tanto il suo Gesù. 
Il giorno della Prima Comunione, uscita appena di chiesa, domandò alla Signora Teresa Cimarelli, sua vicina di casa: "Teresa, quando ci torniamo?". E alla vigilia della sua morte, quando già stava per essere aggredita, supplicò ancora la stessa Cimarelli: "Teresa, domani andiamo a Campomorto? Non vedo l'ora di fare la Comunione!". Che dire del suo amore verso la Santissima Vergine? La mamma mi riferì: "Era molto devota della Madonna. Recitava sempre in suo onore il rosario e lo faceva recitare anche ai fratellini. Ornava con fiori la Sua immagine. Voleva che anche i fratelli ne fossero devoti". Possiamo aggiungere che dopo la morte del babbo alla corona recitata in comune aggiunse ogni giorno un'altra corona in suffragio del caro estinto. Nessuna meraviglia che nel suo cuore, così attento alle cose celesti, germogliasse il fiore della modestia. Maria era una bella fanciulla. 
Alta circa un metro e mezzo, appariva precocemente sviluppata per la sua età. Aveva i capelli castani, il volto abbronzato, lo sguardo mite e profondo. Tuttavia era riservatissima e cercava di nascondere il suo volto con un piccolo scialle. Sfuggiva la compagnia di fanciulle un pò libere. Una volta, tornando dalla fontana riferì alla mamma: "Quanto parla male la tale!". Allora la mamma: "E tu perché sei stata a sentirla?". E lei: "Finché non si riempiva la brocca come dovevo fare?". La mamma: "Bada di non ripetere quelle parole". E Maria: "lo, prima di ripeterle, piuttosto mi faccio ammazzare". Anche l'uccisore depose che Maria non si metteva mai in libertà, neppure in piena estate. 
A soli dodici anni dunque Maria Goretti, come ebbe a dire Pio XII, era "un frutto maturo" per il cielo, un frutto cresciuto in uno di quei focolari domestici, "dove si prega; ove i figli sono educati nel timore di Dio, nell'obbedienza verso i genitori, nell'amore della verità, nella verecondia e nella illibatezza; ove essi fin da fanciulli si abituano a contentarsi di poco, ad essere ben presto di aiuto in casa e nella fattoria; ove le condizioni naturali di vita e Yaura religiosa che li circonda cooperano potentemente a far di loro una cosa sola con Cristo, a crescere nella sua grazia". Ben giustamente quelli del vicinato ripetevano a Mamma Assunta: "O Assunta, che angelo di figliuola avete!".

La fresca bellezza di Maria, per quanto difesa e nascosta gelosamente, non sfuggì agli occhi e alla sensibilità di Alessandro Serenelli, di otto anni più grande di lei, il quale aveva già il cuore guasto a causa delle cattive compagnie e delle letture piene di fatti scandalosi. Egli cominciò a nutrire per la fanciulla un vivo affetto, che, non controllato, degenerò in una cieca, morbosa e irrefrenabile passione.
Ai primi di giugno del 1902 il giovane fece a Maria proposte insane. Ella, inorridita, le rigettò e fuggì piangendo. Mentre si allontanava, Alessandro la minacciò: "Se fiati, ti ammazzo". Dopo qualche giorno egli la tentò di nuovo, ma fu respinto ancora e con più energia. Confuso e irritato per la resistenza dell'innocente fanciulla, stabilì in cuor suo che la terza volta, se non l'avesse ascoltato, l'avrebbe uccisa. E con fredda premeditazione preparò un punteruolo lungo 24 centimetri.
Da quel momento la vita divenne per Maria un vero incubo. Alessandro la trattava con durezza, la rimproverava per ogni inezia e la sovraccaricava di lavoro. Ella, da parte sua, evitava di incontrarlo, obbediva in silenzio e si raccomandava incessantemente alla Madonna, stringendo spesso in pugno la corona. Più volte, in quel mese terribile, ripeté alla mamma: "Mamma, per carità, non mi lasciate sola". Glielo disse anche alla vigilia della tragedia. Ma la povera mamma purtroppo non riuscì accogliere il terrore, che si nascondeva dietro quelle parole, e Maria, sola e indifesa, andò incontro al martirio.


 
Sono le prime ore pomeridiane del 5 luglio 1902. Le famiglie Serenelli e Goretti sono intente alla trebbiatura delle fave. Sui covoni, distesi per terra, circolano due carri (le caratteristiche "barozze"), trainati ciascuno da un paio di buoi. Uno dei carri è guidato da Angelo Gorretti, l'altro da Alessandro. Altri tre, dei figli di Assunta, si divertono ad osservare e a salire di tanto in tanto sui carri. Giovanni Serenelli è disteso su una balla di fieno ai piedi della scala di casa, perché malato di malaria. Maria è sul pianerottolo, in alto, occupata a rammendare una camicia per ordine di Alessandro, e accanto lei Teresina di appena due anni, dorme sopra una imbottita. Assunta è sull'aia e bada a rimettere sul cammino dei carri, con un tridente, le fave che si sparpagliano.
All'improvviso scoppia la tragedia. Alessandro, che ha già preparato il suo piano, salta giù dal suo carro e, fingendo di dover salire un momento in casa per cose urgenti, dice ad Assunta: "Volete guidare un pò voi, finché vado di sopra un minuto?".
 La povera donna, non sospettando nulla, acconsente volentieri e sale tranquillamente sul carro col figlio Man mano. Alessandro percorre in breve i quaranta metri di distanza, entra in camera, pone il punteruolo sulla madia della cucina e, aprendo adagio l'uscio, ordina a Maria di entrare in casa. Ella non risponde né si muove. 
"Allora confessò in seguito lo stesso Alessandro - l'acciuffai quasi brutalmente per un braccio e, poiché faceva resistenza, la trascinai dentro la cucina, che era la prima camera dove si entrava, e chiusi, con un calcio, la relativa porta d'ingresso col solo saliscendi orizzontale, applicato all'interno.
Essa intuì subito che volevo ripetere l'attentato delle due volte precedenti e mi diceva: "No, no, Dio non lo vuole. Se fai questo vai all'inferno". Io allora, vedendo che non voleva assolutamente accondiscendere alle mie brutali voglie, andai sulle furie e, preso il punteruolo, cominciai a colpirla sulla pancia, come si pesta il granturco... Nel momento che vibravo i colpi, non solo si dimenava per difendersi, ma invocava ripetutamente il nome della madre e gridava: "Dio, Dio, io muoio, Mamma, mamma!". Io ricordo di aver visto del sangue sulle sue vesti e di averla lasciata mentre essa si dimenava ancora. Capivo bene che l'avevo ferita mortalmente. Gettai l'arma dietro il cassone e mi ritirai nella mia camera. Mi chiusi dentro e mi buttai sul letto".
Le ferite all'addome sono così profonde che una parte dei visceri esce fuori ed è chiaramente visibile. Tuttavia l'eroica fanciulla trova la forza di alzarsi, di aprire la porta e di chiamare Giovanni: "Giovanni, venite su, ché Alessandro mi ha ammazzata". 
Più tardi, all'ospedale, i medici riscontreranno in tutto sul suo corpo quattordici ferite con lesioni al pericardio, al polmone sinistro, al cuore, al diaframma, all'intestino tenue, all'iliaca e al mesenterio.
Le chiesi: "Marietta mia, che è successo, chi è stato?". Mi rispose: "É stato Alessandro. Mi voleva far fare cose cattive e io non ho voluto".


La povera Maria è crivellata di ferite e perde abbondantemente sangue. Sembra già cadavere. Invece sopravvivrà ancora altre ventiquattro ore. Un vero miracolo! Certamente la Provvidenza lo ha permesso, perché si potessero raccogliere notizie sicure sul suo martirio.
Intanto i Cimarelli si prodigano con ammirabile sollecitudine per prestarle soccorso. Antonio e Teresa restano accanto ai Goretti; Domenico corre a Conca per narrare l'accaduto al Mazzoleni; Mario invece va a Nettuno per avvertire i Carabinieri e per chiamare il medico condotto Bartoli.
Il  Serenelli viene tradotto dai Carabinieri alla caserma di Nettuno. Maria è trasportata in autoambulanza all’ospedale dei Fatebenefratelli della stessa città. L’accompagna la mamma. Il viaggio è un vero calvario. E stato loro proibito di parlare. Tuttavia la sventurata madre, intuendo le sofferenze della figlia, non può fare a meno di domandarle: «Ci stai male, figlia?». La fanciulla, per non rattristarla di più, risponde di no, però poco dopo domanda a sua volta: "Mamma, ci sta molto per arrivare?". "Ed io narrerà poi Assunta le assicurai che c'era poco".
All’ospedale arrivano alle venti. I medici disperano di salvare la ragazza, ma decidono di tentare operandola. In pochi istanti ella si confessa e va sotto i ferri. L’operazione dura due ore ed è dolorosissima, perché non è possibile addormentarla. Terminato l’intervento, è concesso alla mamma di avvicinarla. «Appena mi vide - riferirà poi Assunta - mi chiamò con accento espressivo “Mamma!”. Io, avvicinandomi al suo lettino, le chiesi come stesse ed essa mi rispose “Bene, mamma”. Poi volle notizie dei fratellini e delle sorelline e mi domandò se sarei restata con lei la notte. Avendole risposto che il dottore non lo permetteva, mi disse: “E dove vai tu a dormire?”. Io la rassicurai. Più tardi mi pregò: “Mamma, mi dai una goccia di acqua?”. Le risposi che il medico lo aveva proibito; si rassegnò ed ella per venti ore soffrì l’orribile spasimo della sete. La lasciai che era quasi mezzanotte... La mattina, prima dell’orario, potei entrare all’ospedale e, rivedendola, le domandai come stesse. Con voce più fioca che nella sera precedente mi rispose che stava bene. Mi chiese inoltre dove avessi passato la notte. Più volte nella giornata mi domandò dei fratellini, che essa desiderava rivedere. Con me c'erano ad assisterla un'infermiera e due Suore dei Poveri. Verso le dieci venne il dottore per curarla. Nel frattempo arrivarono anche i Carabinieri per sottoporla all'interrogatorio".
Intanto le vengono suggerite delle giaculatone ed ella le ripete con fervore. Bacia più volte il Crocefisso e l'immagine di Maria Santissima. L'Arciprete di Nettuno, Mons. Temistocle Signori, nota in lei un sensibile peggioramento e pensa di amministrarle il Viatico. Per disporla, le parla del perdono, concesso da Gesù ai suoi carnefici. Poi le domanda: "Maria, volete perdonare anche voi al vostro uccisore?'. Ella prontamente risponde: "Sì, per amore di Gesù, gli perdono e voglio che venga in paradiso con me". Fatta la Comunione, china il capo sul petto e rimane a lungo raccolta, in intimo colloquio con il suo Gesù. Riceve anche l'Estrema Unzione.
Il Cappellano dell'ospedale le propone di iscriversi all'associazione delle Figlie di Maria ed ella si dichiara felice di poterlo fare. Le viene posta al collo la Medaglia benedetta e la fanciulla non finisce più di baciarla.
Su proposta dei Carabinieri, la mamma le chiede se il Serenelli l'avesse infastidita anche altre volte ed ella rivela come circa un mese prima il giovane avesse tentato due volte di farle violenza. Allora Assunta, turbata e rattristata, esclama: "Amore mio, perché non me lo hai detto, che almeno non facevi questa morte?". E Maria, scusandosi, risponde: "Mamma, egli giurò che, se l'avessi detto, mi avrebbe ammazzata... intanto mi ha ammazzata lo stesso".

 Le condizioni della fanciulla si aggravano rapidamente di ora in ora, sia per le emorragie subite, che per la peritonite settica prodotta dalle ferite all'addome. E debolissima e cade spesso in delirio. Si vede talvolta sotto la minaccia del pugnale e grida: "Che fai, Alessandro? Tu vai all'inferno. È peccato, è peccato". Talvolta invece si crede stesa sul pavimento e supplica: 'Portami a letto; voglio stare più vicino alla Madonna". Allude alla cara immagine, che tiene appesa sul suo capezzale. In un momento di lucidità invoca: "Mamma, babbo". Assunta abbassa lo sguardo dolorante ed ella, temendo di averle recato dispiacere con il ricordo del padre defunto, le dice: "Perdonami, mamma". Allora la mamma, quasi porgendole l'estremo addio, dolcemente le sussurra: "Marietta, prega per noi... perdona tutti... raccomandati al Signore". Si baciano.
Il delirio si fa più frequente. Ad un tratto esclama: "Che bella Signora!". E come se notasse della incredulità nei presenti, aggiunge: "Possibile che non la vedete? Guardate! E tanto bella, piena di luce e di fiori". Infine si fa preoccupata in volto e, quasi per chiedere aiuto, invoca: "Teresa!" e si abbatte sui cuscini. Il suo calvario è finito. Sono le 15,45 del 6 luglio 1902.
Assunta col cuore stretto in una morsa di dolore torna in famiglia. Racconterà più tardi: "A sera inoltrata io ritornai a Ferriere dai miei figliuoli, che si trovavano in casa Cimarelli, dove rimasi, senza mettere più il piede nell'abitazione di prima, fino a quando non mi trasferii definitivamente a Corinaldo".

Non appena Maria ebbe chiuso gli occhi alla luce del sole, ci fu nel popolo una esplosione di entusiasmo: "E morta una santa", "Marietta è una martire", "Coraggio, Assunta, vostra figlia è già in cielo".
I funerali furono una vera apoteosi. Vi partecipò una folla immensa con associazioni e autorità venute anche da Roma. L'Arciprete Mons. Temistocle Signori tessé l'elogio della piccola martire in due commoventi discorsi. La Tribuna del 7 luglio ne fece conoscere all'Italia intera la tragica fine, mentre il Messaggero del giorno successivo ne mise in risalto l'incomparabile eroismo.
Due anni dopo, nel 1904, per iniziativa del giornale romano "La vera Roma", le fu eretto, in Nettuno, il primo monumento marmoreo. Nello stesso anno l'avv. Carlo Marini ne pubblicò la prima biografia.
Intanto la fama del suo martirio andava crescendo di giorno in giorno e la sua tomba diveniva mela di numerosi pellegrini.Nel luglio del 1929, presenti la mamma ed altri parenti, il corpo della Santa fu traslato al santuario della Madonna delle Grazie in Nettuno coll 'intervento di una folla imponentissima. in quella circostanza Mamma Assunta ne fece dono ai Padri Passionisti perché lo conservassero, curando contemporaneamente la glorificazione della martire nella Chiesa. Fu composto in uno stupendo monumento marmoreo. opera dello scultore Zaccagnini. Lo visitarono innumerevoli personaggi anche prima del trasloco; tra gli altri: Mons. Achille Ratti (il futuro Pio XI) prima di partire Nunzio in Polola Signorina Armida Barelli, circa 1.800 Padri del Concilio Vaticano Il e Paolo VI il 14  settembre 1969.
Nel 1935 la diocesi di Albano, da cui dipendeva la città di Nettuno, chiese ed ottenne di poter iniziare il processo informativo per la causa di Beatificazione. Il 6 giugno 1938 uscì il decreto di introduzione della causa stessa presso la S. Congregazione dei Riti. Postulatore ne fu il P. Mauro dell'Immacolata, passionista. Il 4 giugno 1939 si procedette alla ricognizione del corpo. Finalmente, il 27 aprile 1947, Maria Goretti, con dispensa dai miracoli, fu solennemente beatificata in S. Pietro a Roma da S.S. Pio XII alla presenza della mamma, delle sorelle, Ersilia e Suor Teresa delle Francescane Missionarie di Maria, e del fratello Mariano. Dopo solo tre anni, il 24 giugno 1950, sotto lo stesso Pontefice, ebbe luogo la sua solennissima Canonizzazione. A causa dell'immensa moltitudine (si calcolarono presenti circa 500 mila persone), la cerimonia si svolse in Piazza S. Pietro, il pomeriggio di un sabato. Ancora una volta era presente la mamma, benché anziana e malaticcia, con i figli. Per l'occasione ritornò dall'America il fratello Angelo (Alessandro era deceduto nel 1917 in America). L'aver potuto rivedere dopo 35 anni questo figlio fu una delle più grandi gioie che Mamma Assunta ebbe in quella circostanza, come ella stessa mi riferì.
Il giorno seguente il Papa celebrò un pontificale in S. Pietro in onore dell'angelica fanciulla giolina, Ida e fu consegnata al "conservatorio" di Senigallia. Un giorno dirà con tanta tristezza: "Non conobbi mai i miei genitori, né potei sapere chi fossero".
All'età di cinque anni fu adottata dai coniugi Aguzzi Vincenzo e Segoni Maria, contadini di Corinaldo. I due erano dei buoni cristiani, le vollero bene e le dettero una seria educazione conforme alla loro fede.
A venti anni, il 25 febbraio 1886, sposò, a Corinaldo, Luigi Goretti. Era povero, ma buono, onesto e amante del lavoro.
Il 26 gennaio 1929 fu presente all'esumazione dei resti mortali di Maria, fatta nel cimitero di Nettuno, dove la fanciulla era stata sepolta dopo la sua morte. Essi furono riposti provvisoriamente nella cappella delle Suore della Croce. Il 28 luglio 1929, come si è detto, furono trasferiti in modo solenne nel santuario di 5. Maria delle Grazie, retto dai Padri Passionisti. In quella occasione Assunta, in riconoscenza per quanto essi avevano fatto in favore della figlia, donò ai Padri stessi ben volentieri il corpo di Maria. Dopo la beatificazione confermò con atto notarile il dono fatto nel 1929. I Padri, a loro volta, promisero che avrebbero promosso e curato la canonizzazione della giovane, se ciò fosse stato di gloria a Dio.
Il 26 successivo fu ricevuta ufficialmente in udienza privata da S.S. Pio XII, che, accogliendola, disse: "Ecco la mamma di una martire" e che la intrattenne affabilmente per venti minuti. Era la prima volta che un papa riceveva la madre di una santa.
Visse ancora quattro anni. Molti pellegrini, desiderosi di renderle onore e di conoscere particolari inediti su Maria, andarono a farle visita ed ella li accolse sempre con cortesia, cercando di accontentarli in tutto.
Ma intanto il fisico si andava logorando celermente. Il 7 ottobre 1954 ricevette l'estrema unzione ed il giorno seguente passò serenamene all'eternità. Aveva compiuto da circa due mesi gli 88 anni.
Ai suoi funerali intervennero autorità civili e religiose, tra cui sette Vescovi e un Rappresentante del Governo. Era presente inoltre una grande folla di sacerdoti, di religiosi e di fedeli.
Assunta si può definire veramente una "donna forte", quale la descrive il libro sacro dei Proverbi.
Aveva sortito da madre natura un carattere quasi duro, autoritario, ma seppe dominarlo, ingentilirlo, addolcirlo. Fu perciò ferma senza essere ingiusta, autoritaria senza essere dura. All'occasione riusciva ad essere affabile, mite, cedevole.
Nella lunga vita incontrò innumerevoli difficoltà, ma le superò tutte con la pazienza, la fortezza, la perseveranza. A soli 36 anni rimase vedova con sei figli da mantenere. Dopo la morte di Maria ritornò a Corinaldo. La povertà, che le era stata sempre compagna, sembrò allora trasformarsi in estrema miseria. Si sentì sola, senza lavoro, senza un quattrino. Mi confidò una volta: "Per un pò di tempo dovemmo dormire in una stalla accanto all'asino".
Affrontò tante penose prove con cristiana rassegnazione e con ferma fiducia nella Provvidenza, la quale, a dire il vero, per varie vie e nei modi anche più impensati, le andò sempre incontro.

Alessandro nacque a Torrette di Ancona nel 1882. Perdette presto la mamma. "La mia prima disgrazia fu quella di non avere una mamma", dirà egli stesso al processo ecclesiastico di Albano. Fece la prima Comunione a 12 anni.
Nel 1897 si trasferì con il padre e col fratello Gaspare a Paliano in cerca di lavoro.
Il padre, sempre assillato dal problema economico, poco curò la sua formazione religiosa e morale. Giovanissimo frequentò a Torrette compagni licenziosi, che gli corruppero il cuore. Le letture cattive fecero il resto. Nei tempi liberi infatti leggeva il Messaggero e la Tribuna illustrata in cerca di notizie di cronaca nera e di immagini oscene. Di questo ritagliava le più piccanti per adornarne la sua camera.
La mancanza dell'affetto materno, una educazione più che superficiale e le letture difatti immorali fecero sì che in lui le passioni perverse prendessero il sopravvento.
Al processo penale fu riconosciuto responsabile del delitto commesso e condannato a trenta anni di reclusione, di cui cinque in cellulare. Non gli fu assegnato l'ergastolo, perché minorenne.
Nel quarto anno del tremendo cellulare ebbe un sogno, che egli così raccontò: "Idee sempre più violente di disperazione mi turbavano la mente, quando una notte faccio un sogno: mi vedo davanti a un giardino e in un riquadro, tutto di fiori bianchi e gigli, vedo scendere Manetta, bellissima, biancovestita, la quale, man mano che coglie i gigli, me li presenta e mi dice: "Prendi" e mi sorride come un angelo. lo accetto quei gigli fino ad averne le braccia
Fu dismesso dal carcere nel 1929, avendo avuto il condono di tre anni della pena. Trovò una discreta occupazione al paese nativo e cercò di compiere coscienziosamente il suo dovere. Tuttavia, sospettato di un reato, perdette, benché innocente, il posto di lavoro. Respinto dai familiari e dal mondo, fu assunto, come ortolano, dai Padri Cappuccini di Ascoli Piceno, coi quali rimase fino al 1956. In quell'anno, resosi inabile al lavoro, fu mandato dai Religiosi nella loro casa di riposo a Macerata, dove soggiornò fino alla morte, avvenuta il 6 maggio 1970. Passò gli ultimi anni in grande raccoglimento, pregando e accostandosi ai Sacramenti con ammirabile fervore.
Nel 1961 stese il suo testamento, che vale la pena di riferire.
" Sono vecchio di quasi 80 anni, prossimo a chiudere la mia giornata. Dando uno sguardo al passato, riconosco che nella mia giovinezza infilai una strada falsa: la via del male, che mi condusse alla rovina. Vedevo, attraverso la stampa, gli spettacoli e i cattivi esempi, che la maggior parte dei giovani seguiva quella via senza darsi pensiero ed io pure non me ne preoccupai. Persone credenti e praticanti le avevo vicino a me, ma non ci badavo, accecato da una forza bruta, che mi sospingeva per una strada cattiva. Consumai a vent'anni il delitto passionale, del quale oggi inorridisco al solo ricordo. Maria Goretti, ora santa, fu l'angelo buono che la Provvidenza aveva messo avanti ai miei passi. Ho impresse ancora nel cuore le sue parole di rimprovero e di perdono. Pregò per me, intercedette per me, suo uccisore. Seguirono trenta anni di prigione. Se non fossi stato minorenne, sarei stato condannato a vita. Accettai la sentenza meritata; rassegnato espiai la colpa. Maria fu veramente la mia luce, la mia protettrice. Col suo aiuto mi diportai bene e cercai di vivere onestamente, quando la società mi riaccettò tra i suoi membri. I Figli di San. Francesco, i Minori Cappuccini delle Marche, con carità serafica mi hanno accolto fra loro non come servo, ma come fratello. Con loro convivo dal 1936. Ed ora aspetto sereno il momento di essere ammesso alla visione di Dio, di riabbracciare i miei cari, di essere vicino al mio Angelo protettore e alla sua cara mamma Assunta. Coloro che leggeranno questa mia lettera vogliano trarre il felice insegnamento di fuggire il male, di seguire il bene sempre, fin da fanciulli. Pensino che la religione con i suoi precetti non è una cosa di cui si può fare a meno, ma è il vero conforto, l'unica via sicura in tutte le circostanze, anche le più dolorose della vita. Pace e bene!".

I miracoli
Per l'intercessione della Santa vengono continuamente operati molti miracoli per la vita temporale e più per la vita spirituale. Riferisco solo i due scelti per la sua canonizzazione.
Dio l'ha voluta glorificare nell'anno santo 1950, come mi riferisce S. Em. Pio Palazzini.
Dopo la beatificazione della Martire, il Comitato addetto si presentò a SS. Pio XII per rendere i doverosi attestati di gratitudine. Il 5.
Padre disse: "Vorrei canonizzarla per l'anno santo "purchè faccia i miracoli richiesti", soggiunse S. Em. Palazzini. Il Cielo esaudì subito, cioè entro dieci giorni dalla sua beatificazione avvenuta il 27-4-1947, la surriferita richiesta.
1)11 4-5-1947: guarigione istantanea della Sig.ra Anna Musumarra, da pleurite essudativa e liquido abbondante.
2) L'8-5-1947: guarigione istantanea di Giuseppe Cupo, povero operaio, guarito da grave ematoma al piede destro, causatogli durante il lavoro da un grosso masso precipitato dall'alto.
Dopo le regolari discussioni, furono approvati dal S. Padre l'11-12-1949 e fu fissata la data della canonizzazione per il 25-6-1950.

Santuario di nettuno

venerdì 12 novembre 2010

La Rocca di Fossombrone

La Rocca di Fossombrone venne fatta costruire originariamente nel XIII secolo, ma fu solo nel XIV secolo che assunse la conformazione architettonica più definitiva di recinto quadrilatero con torrioni angolari, grazie all'intervento dei Malatesta che ne decisero un sostanziale rimaneggiamento ed ampliamento. Eretta sulla cima del colle di Sant'Aldebrando, la Rocca rappresentava uno dei capisaldi del sistema difensivo del ducato di Urbino. Fu però dal 1444 che la rocca assunse l'assetto definitivo, perchè passò a Federico da Montefeltro, che volle conformarla militarmente alle nuove tecniche difensive. Agli interventi federiciani risalgono, in particolare, la trasformazione del torrione sud-occidentale in baluardetto con alto saliente, oltre alla costruzione di un rivellino dal profilo carenato al centro del lato meridionale. Purtroppo nel XVI secolo rocca cadde in rovina; solo in seguito fu costruita tra le sue mura la chiesetta di San Aldebrando.

La Rocca di Fano

La Rocca di Fano venne fatta costruire nella prima metà del XV secolo sui resti di fortificazioni romane e medioevali per volere dei Malatesta. I documenti noti testimoniano che ad occuparsi dei lavori fu l'architetto Matteo Nuti con il fratello Giovanni e con Cristoforo Foschi, che si conclusero nel 1452 con l'erezione del mastio. La fortezza subì nei secoli a venire diversi rimaneggiamenti ed adattamenti ad esigenze difensive, conservando comunque integra la struttura originaria di ampio quadrilatero fortificato, delimitato da cortine scarpate e solidi torrioni angolari. Il mastio, imponente torre di vedetta che rappresentava la parte più antica del fortilizio, è stato purtroppo distrutto nella II guerra mondiale. La Rocca oggi è complessivamente in buono stato di conservazione, si trova nel cuore di Fano ed è adibita a spazio espositivo.

La Fortezza di Albornoz

Venne fatta costruire tra il 1367 e il 1371 per volere del successore del cardinale Egidio Alvares de Albornoz, il cardinale Angelico Grimoard. La rocca fu messa a dura prova nel 1375 durante l'assedio capeggiato da Antonio da Montefeltro e nei secoli successivi subì numerosi rimaneggiamenti che ne modificarono la struttura edilizia, che oggi si caratterizza per un impianto rettangolare munito di cortine scarpate continue, torri semicircolari e bastioni. Nel 1673 la rocca venne ceduta, assieme al campo attiguo, ai padri Carmelitani Scalzi del vicino convento. Oggi la Fortezza di Albornoz, che si erge nul punto più alto e panoramico di Urbino all'interno del Parco della Resistenza, si presenta in buono stato di conservazione grazie ad interventi di restauro iniziati nel 1967.

Il Castello di Numana,

Il Castello di Numana, fatto costruire presumibilmente nel Trecento, sorse sui resti di preesistenti costruzioni siculo-greche. A quel tempo il bel maniero costiero era caratterizzato da un recinto di porte fortificate e torri, tra le quali quella per gli avvistamenti. Solo quest'ultima ci resta oggi del castello, a testimoniare con il suo arco a sesto acuto le origini medievali della fortificazione. Causa principale della distruzione del castello fu il terribile terremoto del 1929.

Il Castello Brancaleoni

Un' imponente costruzione medievale-rinascimentale che si articola in un susseguirsi di corti interne, voluta nel tardo Medioevo dai Brancaleoni, probabili discendenti dei Longobardi, a scopi soprattutto difensivi. E' soprattutto nel XV secolo invece che il maniero ha acquisito l'armonia che ancor oggi lo caratterizza, perdendo i connotati più prettamente difensivi a favore di quelli residenziali. L'ingresso gotico del Castello è sormontato dalla Torre dell'Orologio, mentre al piano terra si trova il Museo degli antichi mestieri. Nell'appartamento del Leon d'Oro, antica residenza privata dei conti, si può invece visitare la Collezione di gioielli ed abiti seicenteschi dei Brancaleoni, mentre la parte più antica del castello accoglie il Museo dei fossili di Monte Nerone.

La Torre di Portonovo

La Torre di Portonovo, nota ai più come Torre Clementina, venne fatta costruire nel 1716 da Papa Clemente XI a ridosso della costa, onde difendere il territorio circostante da sbarchi indesiderati. Si tratta di una bella torre quadrata eretta quasi sulla battigia, che ha contrastato efficacemente negli anni le incursioni dei pirati. Nel 1810, durante il Regno d'Italia di Napoleone, venne affiancata ad opera del generale Beauharnais dal fortino napoleonico, che difendeva il fianco meridionale di Ancona, onde proteggere così dagli inglesi tutto il porto nuovo.

La Rocca di Urbisaglia

La Rocca di Urbisaglia venne fatta costruire nel XIV secolo sui resti della romana Urbs Salvia. La Rocca esisteva infatti prima del 1264, fatto testimoniato dell'esistenza di documenti che provano l'occupazione dei Tolentinati, che la restaurarono in seguito per servirsene. Questa fortezza è caratterizzata da una pianta trapezoidale rafforzata agli angoli da 4 torri angolari scarpate, come le cortine, sino al cordone. Il maschio, di forma quadrata, alto 24 metri, forse del 1300, ha i suoi merli alla ghibellina: vi si accedeva dall'interno della Rocca tramite un'altra pusterla. La rocca ha subito nei secoli numerosi danneggiamenti, soprattutto nella seconda metà dell'Ottocento. Oggi si presenta invece in buono stato di conservazione grazie a recenti interventi di restauro.

La Rocca di Offagna

La Rocca di Offagna venne fatta costruire nel 1454 sui resti di un preesistente maniero medievale a scopi puramente difensivi, per proteggersi dai rivali di Osimo. La rocca è merlata, presenta una struttura quadrangolare con mastio eccentrico e poggia su di una rupe tufacea che ne accresce il potere difensivo. Vista la posizione strategica non fu mai necessario alcun fossato. Dal punto di vista architettonco si pù ancora notare la convivenza tra elementi medievali, retaggio del maniero preesistente, ed elementi d'impronta rinascimentale, come l'alto mastio e le numerose feritoie ideali per l'uso di armi da fuoco. Il mastio, cioè la torre di massimo avvistamento, è suddiviso in 5 piani e l'accesso a tutta la fortezza doveva avvenire dal quarto piano, accorgimento molto diffuso nel Medioevo. Oggi la Rocca accoglie una ricca raccolta d'armi antiche e preziosi reperti.

La Rocca Costanza di Pesaro

La Rocca Costanza di Pesaro venne fatta costruire nel 1474 sulle fondamneta di una preesistente fortezza voluta dalla famiglia Malatesta. La Rocca, che deve il suo nome a Costanza Sforza succeduta nel 1473 al padre Alessandro, venen fatta costruire secondo le esigenze di una città di pianura, addossata alle mura cittadine dell'era dei Malatesta. Dotata in origine di un coronamento a beccatelli, è oggi caratterizzata da una pianta quadrilatera con torrioni circolari scarpati agli angoli, così come scarpate sono le cortine murarie di collegamento. La costruzione delle rocca terminò nel 1483 per opera di Cherubino di Giovanni da Milano, al tempo di Giovanni Sforza. Oggi la Rocca è aperta nei mesi estivi in occasioni di eventi musicali ed è visitabile all'interno di itinerari guidati.

Il Palazzo Ducale di Urbania

L'antico borgo medievale di Casteldurante, sorge oggi sulle fondamenta del bellissimo castello medievale conosciuto all'epoca come Castel delle Ripe: questa fortezza, da tempo abbattuta, era stata eretta dai Brancaleone e ubicata lungo l'ansa del fiume Metauro. Il Palazzo Ducale, ristrutturato da Francesco di Giorgio Martini nel XVI secolo, è uno dei capolavori voluti dal Duca di Urbino Federico II da Montefeltro ed oggi vi sono custoditi i preziosi volumi della Biblioteca Comunale, oltre ad una raccolta di disegni del tardo Rinascimento.

La Rocca di Cagli

La Rocca di Cagli ha origini rinascimentali. Infatti proprio in quell'epoca arricchì, su volere di Francesco di Giorgio, il borgo munito di Cagli. Nel Trecento Cagli entrò a far parte del Ducato dei Montefeltro, portando di conseguenza una grande fioritura artistica nel borgo, che durò a lungo. Ad oggi della fortificazione si conserva purtroppo solo il maestoso torrione semicircolare.

Il Castello dei Conti Oliva

Questo castello sorge a Piandimeleto sulla destra del fiume Foglia, nel cuore del Montefeltro. I primi Oliva storicamente documentati sono i fratelli Sforza Bisaccione e Ugolino, nel 1234 signori di Antico, Piagnano ed altre fortezze minori. I più celebri membri della famiglia furono Gianfrancesco ed il figlio Carlo, vissuti nel XV secolo e a cui si deve la realizzazione della Cappella di Montefiorentino, con le tombe dei genitori. Nel 1469 Gianfrancesco e Carlo combatterono contro Federico da Montefeltro, alleato degli Sforza, in quanto il castello dominava in posizione centrale il quadrilatero costituito da Sestino, Sassocorvaro, Urbino, Casteldurante: terre confinanti contese sempre dai potenti, tra cui anche i Pontefici, i Malatesta, i Feltreschi e i Brancaleoni. Piandimeleto è sempre stato il cuore dell'opera d'azione del potere degli Oliva e la scelta della costruzione del grande castello si deve alla sua posizione fortemente strategica, grazie alla difesa naturale offerta dal fiume Foglia.

Il Castello di Camerano

Il Castello di Camerano ha origini molto antiche dato che, nel luogo in cui sorsgeva, vi furono preesistenti insediamenti umani fin dall'età del Ferro. In era medievale il maniero costituì una preziosa base difensiva per l'arcivescovo di Ravenna. In seguito nel Trecento, anni dell'espansione del territorio anconetano, il castello vide grande splendore. Il maniero era caratterizzato da tipico andamento circolare, essendo fortificazione di poggio, e da scoscendimenti rocciosi detti Sassòne. Ad oggi resta poco del bel castello, solo tratti di mura fortificate.

Il Castello della Rancia

Il Castello della Rancia venne fatto costruire nel 1100 dai monaci benedettini, che eressero più precisamente una grancia, cioè una fattoria e deposito di derrate alimentari dipendente da una abbazia. Il maniero vero e proprio fu costruito nel 1300 su queste preesistenti fondamenta, caratterizzato da una possente torre maestra e da merlature ghibelline a sormontare tutta la struttura a pianta rettangolare. Il mastio, nucleo originario della preesistente grancia, è alto circa 30 metri ed è costituito da 4 piani. Il castello nel corso dei secoli passò di proprietà in proprietà, da Girolamo Riario nel XV secolo, a Guidobaldo Della Rovere ai Marchesi Bandini. Il maniero è inoltre famoso per un avvenimento storico del 1815, la battaglia della Rancia, in cui l'esercito austriaco sconfisse Gioacchino Murat proprio davanti alle sue mura.

Il Castello di Candelara

Il Castello di Candelara ha origine antiche, dato che sorse probabilmente sopra i resti di una villa romana. Si presume che il maniero venne fatto costruire attorno all'anno Mille e che fosse un castello imprendibile, posto com'era su una contrafforte e circondato da solide mura. Nel 1176, dopo la sconfitta di Legnano, vi trovò rifugio Federico Barbarossa.

Il castello sforzesco di Pesaro

Il castello sforzesco di Pesaro, conosciuto come Villa Imperiale, venne fatto costruire nel 1469 per volere di Alessandro Sforza. A questa architettura fortificata se ne sovrappose una seconda nel 1530 su ordine dei Della Rovere, che commissionarono il loro progetto a Girolamo Genga, che curò anche la decorazione interna. Così, ad una comune pianta quadrata rinsaldata da un'alta torre di difesa, si aggiunse il Palazzo Nuovo, caratterizzato da splendidi interni ricchi di affreschi, eseguiti da artisti come i fratelli Dossi e il Bronzino. Nella Villa Imperiale soggiornarono molti ospiti celebri, quali Pietro Bembo, Baldassarre Castiglione, Torquato Tasso. Oggi in perfette condizioni di agibilità, la villa è residenza estiva della famiglia Castelbarco Albani, che ha anche commissionato recenti lavori di restauro per ricondurla al suo originario splendore.

Fortezza di Ancona

La Fortezza di Ancona venne fatta costruire nel Cinquecento su volere di Papa Clemente VII, al fine di proteggere la città che aveva gareggiato con le Repubbliche marinare. Architetto di questa Cittadella (altro nome per la Fortezza) fu Antonio da Sangallo di Giovanni, maestro del tempo. Ancora oggi la Fortezza, che si erge sul colle Astagno, è tra i primi esempi di fortificazione bastionata delle Marche e presenta una singolare pianta a più punte.

La Rocca di Acquaviva Picena

La Rocca di Acquaviva Picena è stata costruita in epoca medievale su volere della famiglia Acquaviva d'Atri. La rocca, che da sempre ha troneggiato maestosa sulla bella cittadina, è caratterizzata da un bel torrione scarpato ed è considerata come una delle più interessanti fortezze delle Marche. Il suo impianto è infatti singolare, con la cortina appoggiata a bastioni trapezoidali con mastio cilindrico ed il torrione a pianta pentagonale con una profonda scarpatura.

La Rocca di San Leo

La Rocca di San Leo ha origini medievali e si erge sulla punta più alta dello sperone del colle su cui si trova il centro abitato di San Leo, l'antico Mons Feretri da cui derivò il più noto nome di Montefeltro. La rocca sovrasta tutto il borgo e, per questa sua posizione inespugnabile, si guadagnò la fama di fortificazione tra le più pregevoli nel periodo medievale-rinascimentale. Questa fortezza venne rimaneggiata nel XV secolo su volere di Federico III da Montefeltro, che fece aggiungere due possenti torrioni cilindrici, la cortina muraria e tutta la parte residenziale. Nella cosiddetta Cella del Tesoro fu a lungo rinchiuso nel XVIII secolo il conte Cagliostro, ovvero Giuseppe Balsamo, che qui anche morì. Il panorama che si gode da San Leo è ancor oggi uno dei più suggestivi di tutte le Marche.

Il Castello del Cassero

Il Castello del Cassero è stato costruito nel 1375 per volontà del nobile Nicola Torriglioni. La struttura architettonica del maniero era in origine molto particolare in quanto presentava pianta a croce. Purtroppo di quel bel maniero singolare oggi resta gran poco: qualche vestigia e la torre d'ingresso alleggerita da monofore.

Il Castello di Novilara

Il Castello di Novilara venne fatto costruire nel 1373 su volere di Pandolfo Malatesta. In seguito il bel maniero che domina il mare, divenuto proprietà di Francesco Maria della Rovere, nel Cinquecento venne dato in feudo dallo stesso duca a Baldassarre Castigione. Quest'ultimo, celebre letterato italiano autore de Il Cortigiano, divenne così castellano della fortezza.

Il Castello di Montemarciano

Il Castello di Montemarciano è stato fatto costruire negli anni in cui la terra apparteneva ai Piccolomini, duchi sotto il pontificato di Gregorio XIII. In seguito Sigismodo Malatesta vi fece costruire un mandracchio in una posizione da lui stesso scelta: l'incrocio tra via Flaminia, via Lauretana e via Flambegna. Nel tempo fu soggetto ad usi molteplici, dal magazzino all'osteria. Il nome del castello deriva da Monte di marte, poi divenuto Montemarziano ed infine montemarciano. Ad oggi del castello resta solo il mandracchio, da poco restaurato.

Il Castello di Lanciano

Il Castello di Lanciano è stato fatto costruire nel Trecento, e più precisamente tra il 1350 ed il 1418. Il bel maniero, circondato dal verde delle colline marchigiane, presentava porzioni armoniche e torri di altezza moderata: aspetti che facevano già presagire ai canoni rinascimentali che si sarebbero affermati successivamente. Il castello nel Seicento passò ai Voglia, poi ai Rosa ed ai Bandini. Solo in seguito venne restaurato grazie alla volontà della famiglia Varano.

La Rocca Priora

La Rocca Priora, vista la sua ottima posizione strategica, venne fatta costruire nel XII secolo dagli Jesini. La Rocca, nota anche col nome di Rocca di Fiumesino dal nome del fiume che le scorre vicino, è caratterizzata da una singolare pianta ellittica. Tutta merlata, ha una torre maestra che punta a nord-ovest e la torre d'ingresso sormontata da uno stemma del Vanvitelli, risalente ell'era dei Lumi. Ad oggi La Rocca si presenta in ottimo stato di conservazione.

Il Cassero di Castelraimondo

Il Cassero di Castelraimondo, che tutt'ora domina sul territorio marchigiano, è ciò che resta di quella che doveva essere stata una bella fortificazione costruita nel Trecento. La torre, merlata ed alta più di 35 metri, era inserita in una costruzione fortificata di cui oggi restano poche vestigia: tratti di mura di cinta ora inglobati nella chiesa parrocchiale. La torre è divenuta invece la Chiesa del campanile di San Biagio.

La Rocca di Gradara

La Rocca di Gradara, situata nella zona più elevata del paese, venne fatta costruire nel XIII secolo su volere dei fratelli De Griffo. Il castello, che si ergeva sui resti di una antica fortificazione, presentava pianta quadrangolare con torri angolari e mura merlate. In seguito divenne dei Malatesta, che la ingrandirono conferendole l'attuale assetto architettonico. Coi Malatesta il castello visse anni di splendore, passando poi alla famiglia Della Rovere. Con quest'ultima si videro fantastiche serate gentilizie a castello, soprattutto grazie a Livia Della Rovere ed a Eleonora Gonzaga. Dopo un periodo di decadenza, nel 1920 la famiglia Zanvettori ne rilevò la proprietà finanziando interventi di restauro. Le doppie mura ad anello sono visitabili passando per i camminamenti di ronda che collegano le torri quadrate dalle quali si scorgono a breve distanza San Marino e la riviera adriatica.

La Rocca Ubaldinesca

La Rocca Ubaldinesca è situata a Sassocorvaro, nella suggestiva valle del Foglia, e presenta una curiosa pianta zoomorfa. Si trova proprio nel centro del paese, che a sua volta è adagiato su un'imponente sperone di roccia da cui si domina tutta la valle. Costruita nel Quattrocento e progettata da Francesco di Giorgio Martini, rappresenta oggi uno dei maggiori capolavori dell'architettura militare rinascimentale. Merita molta attenzione anche l'esterno, fatto di una possente muraglia rastremata verso il basso e rafforzata da alte scarpate. Ma la rocca non fu solo baluardo contro le aggressioni, vista la sua posizione strategica, in quanto nell'Ottocento il suo cortile centrale divenne un teatro.

La Rocca di Mondavio

La Rocca di Mondavio venne fatta costruire nel 1482 su volere di Giovanni Della Rovere, il quale affidò il progetto all'architetto Francesco di Giorgio Martini. Quest'ultimo studiò la fortificazione in funzione delle novità del tempo. Quindi, siccome le frecce stavano per essere superate dalla polvere da sparo, la struttura della rocca si adeguò a questo. I lavori durarono 10 anni. Caratterizzante dell'estro del Martino è sicuramente il grande torrione poligonale circondato da un profondo fossato.

Il Castello Pallotta

Il Castello Pallotta di Caldarola ha origini attorno all'anno Mille. Il maniero, a ridosso del colle Colcù, è sempre stato conteso tra Impero e Papato. Infatti inizialmente il castello si trovava in terra imperiale, ma nel 1077 Matilde di Canossa lo donò alla Chiesa. Successivamente il maniero passò di proprietà in proprietà, da Ottone di Brunswich a Federico II di Svevia, fino a che nel Trecento venne distrutto. Un secolo dopo Papa Eugenio IV lo fece ricostruire, affidandosi al noto ingegnere Pallotta, a cui ancora oggi si deve il nome del castello. Restaurato in seguito nuovamente da Paride Pallotta, il maniero si presenta oggi in buono stato di conservazione.

Palazzo Coronini Cronberg

Il Palazzo Coronini Cronberg sorge nel centro di Gorizia, nell'antico borgo di Grafenberg. Fu costruito verso la fine del Cinquecento dal Conte Zengraf. Al suo interno si possono ammirare opere d'arte di straordinario valore tra cui tele attribuite a Tiziano, Lavinia Fontana, Bernardo Strozzi e Rubens. L'edificio è divenuto sede della Fondazione Coronini Cronberg ONLUS nel 1990 per volontà del suo ultimo proprietario, il conte Guglielmo Coronini Cronberg (1905 - 1990). I locali delle Ex Scuderie ospitano mostre, covegni e conferenze. Adiacente al Palazzo c'è il vasto Parco all'inglese visitabile fino al tramonto.

Castello di Moruzzo

Di questo castello  restano oggi i grossi muri della bastonatura, mentre molte delle pietre che costituivano le mura del maniero furono utilizzate dalla popolazione per edificare altre abitazioni e per ampliare la stessa Pieve di Santa Margherita. La grande chiesa sorge sulla preesistente cappella, ora Cripta S. Sabida e, durante il corso dei secoli, ha subìto numerosi interventi di restauro, l'ultimo nel 1954, anno in cui si ricondusse la tacciata a linee semplici e severe e venne aperto nuovamente il rosone gotico. L'importanza della località derivò probabilmente dal fatto che, nei pressi, passasse la Strada Cividina che, ponendo dall'antica Forum Julii, raggiungeva le attuali Godia. Molin Nuovo, Feletto Umberto, Ceresetto, Martignacco, per allacciarsi alla Via Concordiese in prossimità di Fagagn.

Città Fortificata di Palmanova

La Città fortificata di Palmanova ha una struttura molto equilibrata e razionale, tipica dell'epoca del Rinascimento. La cittadella si estende infatti a stella e tutte le arterie stradali convergono al centro, che è una piazza d'armi di forma esagonale; la sua architettura è poi caratterizzata dalla presenza di nove bastioni e di tre porte d'ingresso. I lavori per la costruzione di questa Città fortificata iniziarono nel 1593, presumibilmante con la finalità di difendersi sia dagli Austriaci che dai Turchi. Il progettista fu Giulio Savorgnano.

Il Castello di Zoppola

Il Castello di Zoppola fu probabilmente fatto erigere intorno all'anno Mille e di esso si hanno documentazioni già nel 1153. In origine il maniero, di proprietà dei duchi d'Austria, era dotato di una triplice cinta difensiva. Nei secoli successivi il castello passò di proprietà in proprietà e nel Cinquecento venne parzialmente distrutto dalla sommossa popolare guidata da Antonio Savorgnan. Ad oggi si presenta in buono stato di conservazione.

Castello di Cassacco

Cassacco deriva dal latino castrum, ed infatti in epoca precedente al Medioevo vi sorgeva già un presido romano. Il Castello di Cassacco invece venne fatto costruire nel Duecento e nel 1254 divenne della famiglia di Montegnacco. Il castello, dalla classica architettura fortificata, presenta un solido corpo centrale che raccorda due torri, ed è circondato da una cinta muraria interrotta da torrette. Soggetto nei secoli a molti interventi di restauro, nel Cinquecento gli venne affiancata la chiesetta di Santa Maria Assunta. Nel 1976 il bel maniero subì danni a causa del terremoto; in seguito ricostruito, si presenta ad oggi come uno tra i più bei castelli della regione.

Il castello di Muggia

Il castello di Muggia venne fatto costruire verso la fine del 1300; secondo alcune fonti si dice su volere del patriarca Caetani nel 1397, secondo altre su volere di Marquardo di Randeck un ventennio prima. Questo maniero divenne poi fortezza strategica per il progetto difensivo che il patriarcato di Aquileia volle erigere nel XV secolo. Ad oggi del castello, che nei secoli passò a numerose proprietà, restano solo una torre, la porta di levante e resti della porta di San Ulderico.

Il castello di Cordovado

Il castello di Cordovado è stato costruito nel XII secolo. Dopo numerosi rimaneggiamenti e danneggiamenti avvenuti nei secoli, il maniero ad oggi si presenta con le mura di cinta originarie e le due torri in ottimo stato. A metà strada tra il castello e la villa, la residenza nobiliare di Cordovado, oggi della contessa Freschi-Piccolomini, si trova all'interno del borgo del castello di Cordovado.

Il castello di Spilimbergo

Il castello deve il suo nome all'italianizzazione del nome Spengemberch, nome della famiglia tedesca proprietaria del feudo e del maniero in epoca medievale. Il castello, oggi in ottimo stato di conservazione e caratterizzato da un grande cortile centrale a forma trapezoidale, vide anni bui nell'epoca rinascimentale, dovuti sia all'occupazione delle milizie venete che al terremoto del 1511 che lo devastò. Negli anni successivi fu sottoposto ad importanti interventi di restauro e già nel 1532 il maniero fu pronto ad accogliere la corte di Carlo V.
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