IL MISTERO DELLA MARY CELESTE
| Nel calmo pomeriggio del 5 dicembre 1872 la nave inglese “Dei Gratia” incrociava un brigantino a due alberi che seguiva una rotta erratica nel nord dell'oceano Atlantico, fra le isole Azzorre e la costa del Portogallo. Una volta avvicinatisi alla nave misteriosa, i membri dell'equipaggio si erano resi conto che stava viaggiando soltanto con l'asta di fiocco e la sola vela dell'altiero di trinchetto; oltretutto il fiocco era girato a babordo, mentre tutto il vascello virava verso destra, segno evidente a chi sa di mare che era senz'altro senza guida. Il capitano della “Dei Gratia”, Morehouse, compiute le necessarie segnalazioni, non aveva ricevuto alcuna risposta. |
Il mare ancora ingrossato per le recenti tempeste non consentiva un approccio ravvicinato in sicurezza e ci erano volute più di due ore a Morehouse e al suo equipaggio per accodare la nave tanto da poterne leggere il nome. Si trattava della Mary Celeste, una nave che il capitano ben conosceva, così come conosceva chi la comandava, il capitano Benjamin Spooner Briggs. Meno di un mese prima le due navi si erano ritrovate vicine ai pontili di carico di East River a New York. La Mary Celeste sarebbe partita per Genova il 5 novembre con un carico di alcool puro, mentre dieci giorni dopo la “Dei Gratia” sarebbe salpata per Gibilterra. Ora, la prima vagava sperduta in pieno oceano senza una guida né un segno di vita. Morehouse aveva inviato tre uomini ad investigare, guidati dal primo ufficiale Oliver Deveau, un uomo di grande forza fisica e coraggio. Appena saliti sulla nave, il ponte era subito apparso totalmente deserto, così come tutto il resto della nave. A bordo non c'era anima viva. Mancava la scialuppa di salvataggio, indizio che segnalava come Briggs e i suoi uomini avessero deciso di abbandonare la nave. Sotto coperta c'era una grande quantità di acqua; due vele erano completamente sganciate e quella inferiore dell'albero di trinchetto penzolava appesa solo più da un angolo. Tuttavia la nave dava segno di poter reggere tranquillamente il mare e di non correre il pericolo di affondare. Perché dunque era stata abbandonata? Una ricerca più approfondita aveva rivelato che l'abitacolo, ovvero il posto dove era conservata la bussola della nave, era saltato. Due portelli di boccaporto erano scardinati e uno dei grandi contenitori per l'alcool si era rovesciato. La cambusa e le altre zone destinate alla conservatone del cibo e dell'acqua dolce da bere erano stipate. Le cassepanche dei marinai erano intatte, ad indicare la fretta e la furia con cui erano stati costretti a lasciare la nave. Ma nella cabina del capitano gli strumenti e le attrezzature portatili di orientamento erano sparite. L’ultima annotazione sul diario di bordo datava al 25 novembre; voleva dire che la Mary Celeste viaggiava ormai da nove giorni senza equipaggio, e che in quel momento si era venuta a trovare a oltre 700 miglia a nordest rispetto all’ultima postazione nota registrata. Oltre al capitano Briggs e a un equipaggio di sette marinai, a bordo della nave erano salite pure la signora Sarah, moglie del capitano, e Sophia Matilda, la loro figlioletta di due anni. Davanti al mistero del perché la nave era stata abbandonata; Morehouse aveva avvertito una qual certa apprensione quando Deveau aveva suggerito che due uomini della “Dei Gratia” avrebbero dovuto portare la Mary Celeste a Gibilterra. La prospettiva era una lauta ricompensa di 5000 sterline. L'argomento era solido e aveva convinto il comandante ad accettare la proposta. Sei giorni dopo le due navi erano arrivate insieme al porto di Gibilterra. Ma invece di ricevere il benvenuto che si aspettava, Deveau era subito stato bloccato da un funzionario inglese che aveva spiccato un immediato ordine di fermo per la Mary Celeste. Molto significativamente era venerdì 13 dicembre. Sin dall'inizio la nave era stata sfortunata. In origine era stata registrata col nome di Amazon e il suo primo capitano era morto nel giro di sole quarantotto ore. Nel viaggio inaugurale si era incagliata in uno sbarramento per la pesca lungo la costa del Maine e lo scafo era stato danneggiato. Mentre lo stavano riparando quasi metà nave era stata investita da un furioso incendio. Qualche tempo dopo, mentre veleggiava lungo lo stretto di Dover, si era scontrata con un brigantino più piccolo che era calato a picco. Questo era accaduto col terzo capitano. Da parte sua il quarto aveva inavvertitamente condotto la nave nelle secche attorno a Cape Brenton provocandone l'incagliamento. A questo punto l’Amazon era stata messa in vendita. Prima di finire a J. H. Winchester, colui che ha fondato la compagnia di navigazione tuttora attiva, aveva cambiato la bellezza di tre padroni. Winchester aveva scoperto che il brigantino - che nel frattempo aveva cambiato nome - aveva alcune travi in avanzato stato di putrefazione, che il fondo era da rifarsi con la protezione di una pellicola di rame e che la cabina di comando era troppo angusta e doveva essere ampliala. Tutte queste riparazioni avevano consentito alla Mary Celeste di lasciare il porto di Genova con sufficienti garanzie di sicurezza, sotto l'esperta guida del capitano Briggs, particolare che ben spiega come il vascello fosse riuscito a veleggiare lo stesso nell'Atlantico per tanti giorni privo di guida senza riportare grandi danni. Gli agenti governativi inglesi a Gibilterra propendevano sia per un ammutinamento che per una sorta di complotto-truffa americano: ipotesi suggerita dal fatto che i due capitani erano amici e si era venuto a sapere che il giorno prima che la Mary Celeste salpasse da New York avevano festosamente pranzato assieme. Ma nel corso dell'inchiesta l'eventualità dell'ammutinamento era poi prevalsa, poiché la corte aveva osservato alcuni segni d'ascia sulla battagliola, una serie di scostamenti che avrebbero dovuto dare l'impressione che la nave era andata a sbattere contro gli scogli e soprattutto una spada macchiata di sangue nella cabina del comandante. Le cose erano andate così: l'equipaggio, ubriaco, aveva ucciso il comandante e la sua famiglia poi era fuggito sulla scialuppa di salvataggio abbandonando la nave. Gli americani si erano sentiti offesi per questa accusa mossa contro l'onore e la rispettabilità della marina mercantile del loro paese e sdegnosamente rigettarono l'ipotesi. Oltre tutto, il comandante Briggs era noto non solo per essere un uomo accondiscendente che non avrebbe mai provocato una reazione di ammutinamento, ma era noto che sulle sue navi non si imbarcava mai del liquore. Nel caso della Mary Celeste l'unico era quello puro, imbevibile, che trasportava come mercé. Neanche il più incallito e assetato dei marinai ce l'avrebbe mai fatta a ingoiare neppure un sorso di quell'alcool, capace di provocare terribili mal di stomaco e persino la cecità. E poi, se l'equipaggio si era davvero ammutinato, come mai le cassepanche dei marinai erano rimaste intatte, con dentro ancora gli effetti personali come le fotografie, i rasoi e gli stivali gommati? L'ammiragliato britannico continuava a nicchiare, ma si trovò praticamente costretto a tenere in considerazione anche la seconda ipotesi, vale a dire quella che prevedeva che i due capitani si fossero messi d'accordo per perpetrare una truffa ai danni delle assicurazioni; tuttavia non si riusciva a intuire il perché dell'operazione, dal momento che Briggs ci avrebbe ampiamente rimesso: egli, infatti, era comproprietario del brigantino e ciò che avrebbe ricavato come quota a lui spettante dal rimborso assicurativo sarebbe stato soltanto una parte minima di quello che, viceversa, avrebbe incassato rivendendo le sue quote di proprietà in condizioni normali. Insomma, per la prima volta nella sua lunga storia, la corte non riuscì a giungere ad alcun risultato. Perché i marinai della Mary Celeste avessero lasciato la nave, restò un mistero. Ai proprietari della “Dei Gratia” venne riconosciuta come ricompensa un quinto del valore del brigantino recuperato e del carico che trasportava. Poi la Mary Celeste era stata riconsegnata al proprietario, il quale, appena riavutala in forza a New York, si era affrettato a rivenderla. Nei successivi undici anni la nave ebbe molti altri proprietari, ma a nessuno portò mai profitto. I marinai, forti delle loro tradizioni e superstizioni, la ritenevano una nave porta sfortuna. Il suo ultimo proprietario, il capitano Gilman C. Parker, dopo che la nave si era incagliata in una scogliera delle Indie Occidentali, aveva fatto richiesta di risarcimento assicurativo; ma le compagnie avevano fiutato il dolo e lo avevano trascinato in tribunale. All'epoca, inscenare imbrogli del genere costava l'impiccagione, ma il giudice, memore delle tante disgrazie che già la Mary Celeste si portava dietro, si dimostrò magnanimo e, in virtù di un cavillo legale, riuscì a far rilasciare gli accusati. Nel volgere degli otto mesi successivi il capitano Parker era morto, uno dei suoi soci era impazzito, un altro si era suicidato. La stessa nave era rimasta abbandonata sulla scogliera dove era andata a incagliarsi. Nei dieci anni seguenti, non essendo emersa alcuna prova, la storia della nave maledetta passò nel dimenticatoio. Nel corso del dibattimento in tribunale, che nel frattempo era ripreso seguendo la pista della frode, la corte aveva disposto l'effettuazione di ricerche nei principali porti inglesi e americani allo scopo di riuscire a rintracciare qualcuno di coloro che avevano fatto parte dell’ equipaggio. Ma tutto fu inutile. Nel 1882 un ventitreenne giovane medico di fresca laurea di nome Arthur Doyle, destinato a Southsea, un sobborgo di Portsmouth, applicava pieno di speranze la targhetta col suo nome a uno studio professionale. Nelle lunghe attese fra l'arrivo di un cliente e l'altro, il giovane ingannava il tempo inventando delle storie. Nell'autunno di quello stesso anno, aveva iniziato un racconto in questo modo: «Nel mese di dicembre del 1873, la nave inglese “Dei Gratia” faceva il suo ingresso nel porto di Gibilterra, trascinandosi al seguito il brigantino Mary Celeste, recuperato a 38°40' di latitudine e 70°15' di longitudine ovest». Per essere così breve, la frase conteneva un bel numero di imprecisioni. L'anno era il 1872; la Mary Celeste non era stata trainata ma aveva raggiunto il porto con le sue vele; i valori di riferimento del punto in cui era stata recuperata erano sbagliati, per di più la nave era chiamata Marie e non Mary. Ciò malgrado, quando nel 1884 il racconto intitolato “La deposizione di J. Habakuk Jephson” venne pubblicato sulle pagine della rivista «Cornhill» il successo fu enorme e proprio da qui era partita la prestigiosa carriera di scrittore del giovane Doyle, divenuto ben presto celeberrimo come Arthur Conan Doyle. Molti lettori presero la storia per oro colato e da quel momento in avanti tutti ritennero che la disgraziata nave fosse stata catturata da una sorta di Potere Nero, che aveva in spregio i bianchi. Il signor Solly Flood, l'investigatore che stava lavorando al caso della Mary Celeste, ne rimase così indignato che, credendo la storia vera, aveva scritto alla Central News Agency accusando il signor J. Habakuk Jephson di essere un gaglioffo e un mentitore. Inutile ricordare che dopo un simile successo, la rivista fu ben lieta di continuare a pubblicare i lavori di Doyle, passando dalle prime tre ghinee di compenso alle ben più consistenti trenta per i racconti successivi. Il racconto di Doyle fu il segnale di un nuovo risveglio verso il mistero, tanto che negli anni immediatamente seguenti venne a galla un numero infinito di illazioni a proposito degli ultimi giorni della Mary Celeste. Le storie andavano dall'ammutinamento classico alla terribile serie di incidenti a catena del tipo: tutti erano precipitati in mare quando una piattaforma appositamente costruita per assistere a una gara di nuoto era improvvisamente crollata; oppure il ritrovamento di un relitto carico di tesori che aveva tentato il capitano Briggs al punto da fargli abbandonare la nave in balia dell'oceano per salire sull'altra e svanire nel nulla, ricco e felice. Un autore giunse a immaginare che l'intero equipaggio era stato preda di un calamaro gigante che, nottetempo, scardinati gli oblò, aveva prelevato gli uomini uno a uno. Charles Fort, il celebre studioso del paranormale, disse invece che quegli uomini erano scomparsi per l'intervento di quella stessa misteriosa e sconosciuta forza sovrannaturale che provocava le piogge di rane e di pesci vivi dal cielo. Fort aggiungeva: «Nei miei archivi ho una bella raccolta di storielle, narratemi da bugiardi incalliti che mi raccontano che trenta, quaranta, cinquanta anni fa erano stati membri dell'equipaggio della Mary Celeste». Persino ancora oggi, questa misteriosa storia ricompare in televisione, magari inserita in qualche serial dedicato a fatti enigmatici o alla fantascienza, dove la nave è protagonista di vuoti temporali o viene attaccata da esseri alieni. In realtà, se solo si esaminano i dati a disposizione, la soluzione di questo mistero si potrebbe trovare nella logica. Chi ha ampiamente confuso le idee è stato proprio Conan Doyle, quando racconta che la nave venne ritrovata intatta, completa delle scialuppe di salvataggio, cosa non vera. Evidentemente, un particolare così importante, risulta decisivo nell’offrire o meno una soluzione plausibile, si potrebbe dire quasi semplice. Vediamola:
Dunque, una volta assodato che la nave venne certamente abbandonata, sappiamo una cosa per certo: l'equipaggio la lasciò in grande furia; la ruota di propulsione non era bloccala, particolare che induce a ritenere un abbandono molto frettoloso. Ed ecco allora, il vero mistero: per quale arcana ragione i marinai scapparono così velocemente? Il capitano James Briggs, fratello del comandante della Mary Celeste, rivelò che a suo avviso la chiave si poteva trovare nell'ultima annotazione fatta sul diario di bordo, quella del 25 novembre 1872, in cui si diceva che, finalmente, il vento si stava placando, dopo una notte di gran tempesta. Secondo lui la nave si era trovata in bonaccia nei pressi delle Azzorre dove aveva incominciato a muoversi verso le pericolose scogliere dell'isola di Santa Maria. Le evidenti screpolature e graffiature riscontrate sullo scafo - quelle stesse che gli investigatori avevano ritenuto essere state fatte ad arte dai marinai ammutinati per depistare le ricerche - erano state riportate quando la nave aveva urtato in qualche scoglio sommerso, cosa che aveva indotto l'equipaggio a credere di stare per affondare. Oliver Deveau aveva verificato che durante il violento uragano la nave aveva imbarcato acqua, al punto di dare l'impressione di non essere più del tutto affidabile per proseguire una navigazione tranquilla. Un'altra ipotesi diffusa è quella della tromba marina. La pressione atmosferica nel cuore di una tromba marina è bassa; questo avrebbe potuto far saltare tutti i boccaporti e consentire alle grandi ondate di invadere completamente la stiva della nave e soprattutto le pompe di trazione. Imbarcati un paio di metri d'acqua, la nave avrebbe dato segni di non farcela e l'equipaggio, impaurito, l'avrebbe abbandonata di gran carriera. Ma, ancora, le obiezioni sono molte. Se la Mary Celeste si fosse scontrata con la barriera rocciosa dell'isola di Santa Maria, la scialuppa di salvataggio non sarebbe andata lontano, ma avrebbe tentato di approdare sull'isola. Poiché non venne rintracciato alcun sopravvissuto né resti di relitti, la cosa sembra improbabile. L'ipotesi di Deveau sembra più plausibile. Capita sovente che in mare monti il panico. Quando la Endeavour del capitano Cook si era venuta a trovare in gravi difficoltà al largo della costa orientale dell'Australia, il capitano aveva spedito un addetto nella stiva per misurare l'altezza dell'acqua imbarcata. Questi aveva sbagliato a misurare, e segnalato un livello pericoloso. In un attimo si era diffuso il panico e la ciurma stava già per far scendere le scialuppe di salvataggio e abbandonare la nave se Cook non fosse riuscito a mantenere la calma e a riportare ordine. In un'altra occasione, i marinai di una nave che trasportava grandi travi di legno, trovatisi in piena tempesta al largo di Newfoundland, si erano dannati per gettare a mare tutto il carico, prima che a qualcuno venisse in mente che era pressoché impossibile che una nave piena di legno colasse a picco. Tuttavia, sembra impossibile che un capitano esperto e abile come Briggs, di cui era nota la straordinaria efficienza, possa essere incappato nel cosiddetto "panico" del mare. L'obiezione da muovere verso l'ipotesi della tromba marina sta invece nel fatto che, fatta eccezione per i due boccaporti trovati scardinati, in tutte le altre parti la nave era stata trovata intatta. Se la tromba d'aria fosse stata così potente e grande da provocare nell'equipaggio tanta paura, ebbene anche la struttura della nave ne avrebbe certamente risentito. Ma resta comunque un altro mistero. Ammesso che l'equipaggio avesse trovato salvezza nella lancia di salvataggio, perché non recuperare la nave, una volta verificato che in realtà non stava correndo alcun pericolo di affondare? Una sola spiegazione sembra coprire l'intero arco dei fatti, così come ci sono noti. Briggs non aveva mai trasportato un carico di alcool puro, ed essendo un tipico puritano osservante del New England, non era neppure troppo contento di farlo. Il notevole cambio di temperatura intercorso fra New York e le Azzorre può aver provocato trasudamenti e perdite dei contenitori. I violenti temporali della notte, sbatacchiando il carico, possono aver provocato la formazione di vapori all'interno delle grandi botti con un aumento della pressione interna tale da far saltare il coperchio di alcune di esse. L'esplosione, sebbene praticamente innocua, potrebbe aver scardinato i boccaporti, scaraventati sul ponte nei punti in cui Deveau li aveva trovati all'atto della prima perlustrazione. Convinto che la nave da lì a poco avrebbe potuto esplodere, il capitano Briggs, inesperto in questo caso, avrebbe dato ordine di lasciarla con la massima celerità, calando in mare la scialuppa di salvataggio. Nella fretta di scappare, Briggs aveva però dimenticato di mettere in atto la più elementare delle precauzioni: collegare la scialuppa alla Mary Celeste con una corda di qualche centinaio di metri, per poter continuare a controllare la nave a una distanza di sicurezza. Nel momento in cui la lancia era stata messa in acqua, da quello che è scritto nel diario di bordo il mare doveva essere calmo; ma le vele malconce rivelano che comunque la nave da lì a poco sarebbe andata incontro ad altri severi impegni. Si può pensare che l'improvviso ritorno di un forte vento spingesse la nave lontano, mentre l'equipaggio, spaventato e scosso, stava invano tentando di remare per recuperarla. Il resto della storia è ovviamente drammatico.
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