giovedì 30 settembre 2010

I poeti maledetti

La definizione di "poeti maledetti" si deve a un'antologia, curata da Paul Verlaine (1844-1896), intitolata Les poètes maudits (= "I poeti maledetti"), pubblicata nel 1884. L'antologia, che ebbe due edizioni, conteneva testi, tra gli altri, di Stéphane Mallarmé (1842-98), Arthur Rimbaud (1854-91), e Tristan Corbière (1845-75), oltre che dello stesso Verlaine. Sebbene Verlaine negasse qualsiasi carattere unitario e di "scuola" ai poeti inclusi nell'antologia, come anche a quelli a cui egli aveva dedicato una serie di biografie, pubblicate dal 1886 al 1892 con il titolo Les hommes d'aujourd'hui (= "Gli uomini d'oggi"), è indubbio che in un certo ambiente letterario, di cui Verlaine è stato più che altro un catalizzatore involontario, è riconoscibile, tra decadentismo, parnassianesimo, simbolismo e loro coscienza critica, una fucina di irradiamento della poesia moderna.

La "maledizione", nel suo senso più generalizzabile, consisteva nella separatezza e nella marginalità a cui il poeta, nella nascente società di massa, si sentiva costretto e di cui aveva consapevole e, si potrebbe dire, desiderata esperienza. Simile condizione produceva un declassamento, una perdita di ruolo che diventava fattore di ribellione e di riscatto estetico, a volte disperato e estremo, come nella sregolatezza "spontanea" dello stesso Verlaine, a volte lucido e malinconico, come nella denuncia della "perdita d'aureola" operata già da Charles Baudelaire (1821-67) in Le spleen de Paris. Non di rado i poeti maledetti, investendosi di ciò che Baudelaire chiamava la "tendenza essenzialmente demoniaca" dell'arte moderna, erano inclini a mettere in gioco la propria vita intera alla ricerca di una intensificazione, anche attraverso l'uso di alcol e di droghe, delle sensazioni, dell'esperienza e della conoscenza. Rimbaud fu una delle figure esemplari, dal punto di vista biografico, di tale inclinazione autodistruttiva: morì infatti a soli 37 anni dopo una vita irrequieta e sregolata. Nella scrittura tali caratteri, sostenuti da una poetica della quintessenza e della veggenza, dei sensi e dell'illuminazione, hanno conseguenze sia tematiche sia formali. La parola poetica viene caricata di un potere magico, straniante e incantatorio, sia che essa rappresenti una separazione dal mondo, sia che voglia costruire un mondo. Si cerca una sua musicalità interna, moderando artifici meccanici come la rima e i parisillabi; si amano le sfumature, più che i colori, poiché solo la sfumatura, come dice Verlaine in Arte poetica (1874), "fidanza / il sogno al sogno". Si valorizza la figura del poeta che diventa veggente, in grado di penetrare una verità oscura e infinita. Si cerca un rapporto con il mondo puramente sensuale, non più mediato dalla ragione, che si esprime in una fusione "di sogno e precisione".

In questa direzione si era mosso Paul Verlaine già a partire dalla sua prima raccolta del 1866, Poèmes saturniens (= "Poesie saturnine"), ispirata a Baudelaire. Verlaine definisce i suoi versi al tempo stesso "già vecchi" e "già musicali", cioè preludio del Simbolismo. La sua poesia influenzerà diversi poeti, da M. Maeterlinck a F. Jammes. Anche D'Annunzio deve molto al sensualismo al tempo stesso religioso ed epidermico, tra Saffo e Santa Teresa, di Verlaine. L'influenza di Rimbaud sarà anche più vasta, per la radicalità con cui il poeta disgregherà le impalcature sintattiche della lingua, i legami logici e cronologici, le tradizionali modalità della narrazione e della descrizione, fino ad essere preso come modello anche dai movimenti d'avanguardia. Del 1886 è il Manifesto del Simbolismo, pubblicato sul "Figaro" da Jean Moréas, da cui nasce ufficialmente una poetica che eredita e raccoglie alcuni degli assunti fondamentali che si erano andati precisando negli anni precedenti. Essa, nelle sue differenti sfumature e nelle reazioni suscitate, dominerà il periodo a cavallo fra i due secoli e influenzerà in larga misura la poesia del Novecento.


 

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