domenica 26 settembre 2010

LA MASCHERA DI FERRO

LA MASCHERA DI FERRO
Il 19 novembre 1703, dopo una breve malattia, un uomo che aveva il volto coperto da una maschera di ferro, moriva nella prigione della Bastiglia.
Vi era stato imprigionato trentaquattro anni prima e persino il responsabile delle carceri reali, luogotenente Etienne du Jonca, non ne conosceva l'identità.
Nel suo diario annotava: «Ho sempre solo saputo che lo chiamavano M. de Marchiel». Il giorno dopo la morte, l'uomo era stato sepolto sotto il nome di Marchiolly e subito dimenticato dal mondo. Divenne, invece, celebre circa un secolo dopo, a seguito di un libro di Voltaire, “Il secolo di Luigi
XVI”, in cui finalmente si raccontava la vera storia della maschera di ferro.
Stando a Voltaire, qualche mese dopo la morte del cardinale Mazarino (avvenuta nel 1661), un giovane prigioniero col volto coperto da una maschera di ferro - o meglio una singolare maschera composta dal naso in giù di sottili lamelle mobili di metallo così che l'uomo poteva nutrirsi senza togliersela - era stato tradotto alla prigione dell'Ile Sainte Marguerite. Gli ordini erano tassativi: ucciderlo se avesse tentato di togliersi la maschera. Al prigioniero, «uomo di grande statura... di nobile e aggraziato aspetto», era concesso chiedere e ottenere ogni cosa. Ciò che lo rendeva più felice erano stoffe e merletti di finissima fattura. Doveva evidentemente trattarsi di un personaggio di alto rango, se il governatore in persona scendeva sovente nelle segrete per fargli visita. Anche al medico che lo andava ogni tanto a controllare era vietato levargli la maschera. L'uomo misterioso, secondo Voltaire, era morto nel 1704 (una data sbagliata, che slitta di un anno), ma la cosa singolare sta nel fatto che quando era stato imprigionato per la prima volta all'Ile Sainte Margherite, in Europa non si era segnalata la scomparsa di alcun personaggio di nobile rango. Secondo Voltaire, un giorno l'uomo aveva inciso alcune parole su un piatto e lo aveva gettato dalla finestra della prigione. Il piatto era stato trovato da un pescatore, il quale recatosi dal governatore della prigione si era sentito chiedere: «Avete per caso letto che cosa c'è scritto?». Quando il pover’uomo gli aveva risposto che, per la sua ignoranza, non era in grado di farlo, l'altro lo aveva licenziato semplicemente dicendogli: «Bene, allora, potete andare... siete un uomo fortunato».
La storia proposta da Voltaire creò sensazione. Molte voci si erano rincorse a proposito del misterioso prigioniero, ma non c'era stato mai nessuno che aveva avuto il coraggio di affrontare l'argomento in modo così aperto e chiaro. In verità, una stravagante e assurda storia intitolata “La maschera di ferro”, a firma di un certo cavaliere di Mouhy, era stata pubblicata ma subito bandita cinque anni prima, anche se la vicenda era ambientata in Spagna e aveva pochi punti di contatto con quella della vera maschera di ferro. Chi era dunque l'uomo che si celava sotto la maschera e che cosa aveva finito per ricevere una simile punizione? Vent'anni dopo, in “Domande sull'Enciclopedia”, Voltaire rivelava la verità o, per lo meno, quella che lui riteneva fosse la verità. Per comprendere meglio la sua ipotesi dobbiamo inoltrarci di qualche passo nella storia della Francia. Si diceva che Luigi XIII fosse impotente e che comunque non corresse buon sangue con la moglie, Anna d'Austria. La regina, infatti, era intima del cardinal Mazarino, di cui condivideva le idee e gli atteggiamenti politici e molto probabilmente anche il letto, tanto che dopo la morte del re qualcuno era arrivato a sostenere che i due avevano contratto un matrimonio segreto. Ecco, ora, la teoria di Voltaire: Anna d'Austria aveva avuto un figlio da Mazarino, prima della nascita dell'erede Luigi XIV. Il re, ovviamente, non era al corrente di questo, ma se la cosa è vera, il delfino aveva in realtà un fratello maggiore, cui, per quanto illegittimo, sarebbe potuta toccare la corona. Questo il motivo per cui Luigi aveva deciso di imprigionare il fratellastro, il volto eternamente coperto da una maschera, per evitare che eventuali forti somiglianze riconducessero la sua nascita alla progenite reale... Nel 1847, oltre un secolo dopo il racconto di Voltaire, toccava ad Alessandro Dumas dare alle stampe il celebre romanzo “L'uomo dalla maschera di ferro”, uno dei tanti fortunati seguiti alla serie de “I tre moschettieri”. È soprattutto su questa trama che si fonderanno poi tutte le altre elucubrazioni successive, non da ultimi gli spunti che hanno portato questa misteriosa vicenda sugli schermi cinematografici. Secondo Dumas, il poveretto era il fratello gemello di Luigi XIV. Ma non era un'ipotesi condivisa solo da lui, comparve anche in un'altra opera dal titolo “Memorie del duca di Richelieu”, pubblicata a Londra nel 1790. Si diceva che Luigi era nato a mezzanotte e il fratello gemello era stato partorito alle 8,30 della mattina seguente, mentre il padre stava facendo colazione. Approfittando della sua assenza, le balie lo avevano subito fatto sparire, per evitare grane nella successione regale. Ma si era poi scoperto che in realtà “le Memorie” altro non erano che un falso del segretario del duca, l'abate Soulavie, e la storia è quasi certamente da ritenersi una mera invenzione. Nella sua introduzione alla traduzione del libro di Dumas, il critico letterario Sidney Dark scrive: “Altre strampalate teorie hanno identificato il prigioniero con il duca di Monmouth, figlio illegittimo di Carlo II, con un certo patriarca armeno, con Fouquet, l'ambizioso ministro dei primi anni di regno di Luigi XIV, una delle figure centrali del romanzo di Dumas e, idea fra le più bizzarre, addirittura con Molière. Correva voce che dopo lo strepitoso successo del “Tartufo”, i Gesuiti, offesi, fossero riusciti a convincere il re a farlo sparire dalla circolazione. Ovviamente, tutte queste ipotesi non sono solo fantasiose, ma incredibili. Gli storici più seri sono dell'idea che l'uomo che si nascondeva sotto la maschera di ferro fosse un italiano, un certo Mattiolo, ministro del duca di Mantova, che si era attirato l'ira di Luigi per chissà quali intrighi”.
Ma Dark non era del tutto corretto. L'uomo che molti ritenevano fosse la maschera di ferro, era un italiano, un certo Ercole Mattioli, nato nel 1640, già segretario del duca di Mantova. Il presunto oscuro intrigo che aveva fatto irritare il re Luigi XIV era una transazione, una faccenda complessa. Nel 1632 la Francia aveva conquistato l'importante fortezza piemontese della città di Pinerolo. Circa trent'anni dopo, aveva pensato di poter acquistare un altro pezzo di territorio italiano nello stesso modo, annettendosi un'altra rocca decisiva, quella della città di Casale, nei pressi di Torino, altra proprietà del duca di Mantova. Questi, in grave crisi finanziaria, aveva assoluta necessità di vendere, ma le trattative per il passaggio dovevano svolgersi nella massima riservatezza, perché, mentre Luigi era in rotta con la Spagna, il duca di Mantova era circondato da molti amici spagnoli. Mattioli, che stava trattando l'affare, si era lasciato scappare qualche parola di troppo e gli alleati spagnoli del duca erano venuti a conoscenza delle richieste del re di Francia, così che la cosa non era andata in porto. Luigi era furibondo, ma fintanto che Mattioli stava in Italia non poteva assumere alcun provvedimento nei suoi confronti. Prima di tutto Mattioli non doveva essere informato dell'ira del re verso di lui. In secondo luogo doveva essere attirato con qualche scusa a Pinerolo e qui, entrato nella giurisdizione reale, avrebbe potuto essere arrestato. Così era accaduto e Mattioli era stato tradotto nelle carceri di Pinerolo, cui era preposto il governatore Saint-Mars. Inoltre, tutto doveva restare segreto. Mattioli, molto semplicemente, doveva sparire, per marcire in prigione fino alla morte. Non sappiamo con precisione quando tutto questo accadde, ma è presumibile sia avvenuto attorno al 1694. Mattioli è senz'altro un ottimo candidato, se anche si ricorda, tra l'altro, che Etienne du Jonca, luogotenente del re e sovrintendente della prigione dove era custodito, diceva che era conosciuto come "M. Marchiel" e il nome che venne poi impresso sulla tomba fu "Marchiolly". Ma, viene da chiedersi, se Mattioli era veramente l'uomo dalla maschera di ferro, per quale motivo il re avrebbe tenuta celata per così tanto tempo la sua vera identità, soprattutto dopo che l'aveva fatto trasferire da Pinerolo alla prigione dell'Ile Sainte Marguerite e poi alla Bastiglia? Forse perché Mattioli era stato rapito in Italia, fatto che avrebbe potuto sollevare delle questioni di politica internazionale. Ma in un momento storico così improntato al pragmatismo, difficilmente qualcuno si sarebbe scandalizzato della cosa; e poi, perché impedire che il volto del prigioniero potesse essere visto? Chi l'avrebbe potuto riconoscere? Che aggiungere invece a proposito dell'ipotesi dei due gemelli, ancora oggi l'idea che si è più di tutte radicata nella fantasia della gente e dell'opinione popolare? L'idea era nata circa mezzo secolo prima che Dumas pubblicasse il suo romanzo. Caduta la Bastiglia nel corso della Rivoluzione francese, gli archivi della prigione vennero resi noti in un lavoro a stampa intitolato “Bastiglia senza segreti”. Il responsabile della commissione che aveva avuto il compito di prendere in esame la questione, un certo M.Charpentier, esaminò tutti i documenti possibili che in qualche modo lo portassero a identificare l'uomo nascosto sotto la maschera di ferro. Confrontando quei dati con quelli dell'archivio reale non era emerso nulla, neppure un piccolo indizio, in cui saltasse fuori che la regina Anna aveva dato alla luce due gemelli, oppure un figlio illegittimo. Tuttavia Charpentier era riuscito a scovare lo stesso qualcosa di interessante a proposito del "vecchio prigioniero", una specie di curiosa leggenda. Si diceva che l'uomo era il figlio avuto da Anna d'Austria con il duca di Buckingham, l'affascinante, diabolico ministro di Giacomo I e Carlo I. Era risaputo che non gli era occorso molto per sedurre Anna, nel corso del suo soggiorno in Francia nel 1626, anche se non si sa con quale risultato: non doveva essere tanto facile per due personaggi così noti e continuamente tenuti sott'occhio trovare l'opportunità e l'occasione di consumare un adulterio senza indurre sospetti. Stando a ciò che racconta Charpentier, nel 1626 Anna aveva comunque dato alla luce un figlio maschio, cui Luigi XIV, il delfino, che sarebbe venuto al mondo da lì a dodici anni, rassomigliava come una goccia d'acqua: da qui la necessità di coprirgli il volto con la maschera di ferro... Questa, chiamiamola così, leggenda, presenta alcuni particolari, che la rendono plausibile. Sembra venisse raccontata per la prima volta da una certa madame de Saint-Quentin, già amante del marchese de Louvois, ministro della guerra di Luigi. E se (cosa pressoché certa), era venuta a conoscerla direttamente dal marchese, doveva contenere una buona dose di verità. Non è tuttavia da escludere che anche chi vi si oppone non sia nel giusto. Perché non è detto che il marchese non abbia raccontato la storia che il suo re Luigi desiderava venisse a conoscenza del popolo, una vicenda tanto strana da sembrare impossibile, capace però al tempo stesso di placare i curiosi. Ad ogni buon conto, non si trattava di una mera invenzione, senza capo né coda, bensì di un racconto che presentava solide fondamenta. Se l'uomo dalla maschera di ferro era nato nel 1626, al momento della morte avrebbe dovuto avere settantatre anni. Ma le seppur poche testimonianze, lo tratteggiano di almeno dieci anni più giovane. Voltaire lo descrive come un uomo piacente e di bell'aspetto. Ma nel 1669 - l'anno in cui era stato incarcerato - un uomo nato nel 1626 avrebbe dovuto avere quarantatre anni, un anziano per quel tempo. In seguito Charpentier era riuscito a mettere insieme anche altri interessanti particolari sulla intricata vicenda. Come Mattioli, il prigioniero era stato in carcere a Pinerolo e anche all'Ile Sainte Marguerite. Ma non era Mattioli. Perché altri archivi segreti rivelavano che quando nel 1681 Saint-Mars, il governatore della prigione di Pinerolo, era stato incaricato di assumere la reggenza della prigione di Exiles, il "vecchio prigioniero" lo aveva seguito, mentre Mattioli era rimasto. Quando altre notizie d'archivio vennero alla luce, si scoprì un interessante carteggio fra il ministro francese della guerra e Saint-Mars. Ma, cosa ancora più significativa, c'erano anche lettere del re. In questi documenti si attestava che l'uomo celato sotto la maschera, altri non era che un certo Eustache Dauger. Nel luglio del 1669 il marchese de Louvois (padre della donna che aveva pettegolato con l'amante a proposito delle imprese galanti del duca di Buckingham) scriveva in una lettera a Saint-Mars: “Il re in persona mi ha ordinato di tradurre un uomo che ha nome Eustache Dauger alle carceri di Pinerolo. Sembra si tratti di una questione della massima importanza... Si è raccomandato affinchè venga sorvegliato a vista e che non gli vengano date informazioni sulla sua situazione, né gli sia concesso di inviare delle lettere... Mi ha poi quasi minacciato di morte qualora dia retta alle sue parole, dicendomi di fargli intendere che qualora parlasse non avrei esitazioni a metterlo a morte”.
Negli archivi c'erano anche altre due lettere a firma del re in cui veniva ampiamente ribadito questo concetto. La stessa cosa, di nuovo: Eustache Dauger era al corrente di qualche terribile segreto, che il re non voleva che alcuno al mondo venisse a conoscere. Ma, allora, perché non farlo fuori? Sarebbe stato così facile. Da una parte perché il re, tutto sommato, non amava questo genere di esecuzioni sommarie, dall'altra perché, forse, nutriva qualche affetto nei suoi confronti. O forse, ancora, perché il re sperava in cuor suo che un giorno o l'altro Dauger trovasse il coraggio di svelare il suo segreto. Il primo a ipotizzare l'idea che l'uomo dalla maschera di ferro fosse Eustache Dauger fu lo storico Jules Lair, che sostiene questa ipotesi in una biografia dedicata al ministro delle finanze francese Nicholas Fouquet, anch'egli condannato alla prigione a vita dal re. Fouquet, nato nel 1615, era stato uno dei protetti del cardinale Richelieu e quando Mazarino - il successore alla carica di Richelieu - era morto nel 1661, tutti si aspettavano che il potente Fouquet diventasse il primo ministro del re. Invece il giovane sovrano - all'epoca soltanto ventitreenne - era stanco di Fouquet, che era diventato ricchissimo grazie ai proventi della sua attività. Forse era geloso di Fouquet, che aveva tentato di sedurre Louise de la Vallière, la figlia di un alto ufficiale destinata a diventare la sua amante. Al suo posto Luigi aveva chiamato Jean-Baptiste Colbert, il figlio di un calzolaio, già assistente di Fouquet. Come prima azione, Colbert aveva immediatamente denunciato Fouquet di aver falsificato i conti della corona. Fouquet, da parte sua, aveva compiuto il grossolano errore di invitare il re nel suo castello, strabiliandolo con incredibili meraviglie, uno sperpero fatto con danaro pubblico, che al sovrano non era per nulla piaciuto. Fouquet venne arrestato, processato e condannato all'ergastolo nella prigione fortezza della città italiana di Pinerolo. Nel 1675, al "vecchio prigioniero" Eustache Dauger era stato concesso di fargli da valletto. Due soltanto le possibili ragioni. O Fouquet era al corrente del segreto di Dauger oppure non aveva alcuna importanza il fatto che lo venisse o meno a sapere, dal momento che non sarebbe mai più stato rilasciato. Ma chi era Dauger e di quale colpa si era macchiato? La prima risposta è più ardua della seconda. Verso la fine degli anni Venti lo storico Maurice Duvivier provò a darle. Il medico che aveva in cura la maschera di ferro nella prigione della Bastiglia, aveva riportato in un referto trattarsi di un uomo di circa sessant'anni, nato dunque sul finire degli anni Trenta di quel secolo. Duvivier si era messo a scartabellare negli archivi del tempo per trovare qualche Dauger - o D'Auger, o Ranger, o Oger, o Daugé - che potesse in qualche modo rispondere alla bisogna. Alla fine ne aveva rintracciato uno nei testi conservati presso la Biblioteca Nazionale, un certo Oger (a volte detto anche Dauger) de Cavoye, figlio di Francois de Cavoye, capitano dei moschettieri del cardinale Richelieu, nato il 30 aprile del 1637. Era uno dei sei figli, di cui quattro caduti in battaglia. Il quinto, Louis Dauger de Cavoye, era diventato uno dei più fidi ufficiali di re Luigi XIV. Eustache era invece la pecora nera della famiglia, quello che non ne combinava mai una giusta. E più Duvivier approfondiva lo studio della sua personalità più si convinceva che la maschera di ferro era proprio lui. Il padre di Eustache, Francois de Cavoye, era andato a corte nel 1620 per cercar fortuna. Proprio come il ben più celebre D'Artagnan di Dumas, in breve tempo si era fatto un nome per via del suo ordimento. (D'Artagnan rispondeva infatti a un personaggio vero, e aveva scortato Fouquet alla prigione di Pinerolo). Dopo aver sposato una giovane vedova, Marie de Sérignan, nel 1630 era stato nominato capo delle guardie del cardinale Richelieu. Marie era una donna estremamente popolare per proprio conto. Era infatti intima non solo di Richelieu ma anche del re ed era diventata damigella di corte della regina. Così i figli avevano potuto anch'essi accedere a corte, tanto che il giovane Eustache era entrato addirittura nel numero dei pochi favoriti del sovrano, cosa che spiegherebbe la sua riluttanza ad assumere poi nei suoi confronti estremi rimedi. Francois de Cavoye era caduto nell'assedio di Bapaume nel 1641, ma la posizione ormai assunta dalla moglie garantiva ai figli che i favori della corte non sarebbero comunque venuti meno. Quattro però erano morti in guerra. Eustache, che era pure un soldato che aveva preso parte a molte campagne, era stato più fortunato e aveva salvato la pelle. All'epoca era giovanissimo, avendo soltanto ventun'anni. Nel 1659, a ventidue anni, Eustache Dauger venne coinvolto in un singolare e strano affare. Il venerdì santo di quell'anno, era presente nel corso della celebrazione di una blasfema messa nera nel castello di Roissy, nel corso della quale un maiale era stato battezzato e poi mangiato. La notizia si era diffusa con la velocità del lampo, creando grande scalpore. Saltarono molte teste, alcune carriere furono stroncate. Eustache era stato risparmiato forse solo per il grande rispetto di cui godeva la madre presso la corte reale. Solo che sei anni dopo si era cacciato in un altro guaio, uno scandalo che lo aveva costretto a rassegnare le dimissioni. Era scoppiata una questione con un paggio in servizio presso l'antico castello di Saint Germain. Una versione dei fatti (quella del duca d'Enghien) racconta che il paggio, completamente ubriaco, aveva toccato con un bastone il duca di Foix mentre gli stava passando accanto. Ne era nata una discussione e un uomo "che si chiamava Cavoye" aveva ucciso il ragazzo. La cosa era stata vista come una sorta di sacrilegio, dal momento che quel giorno il castello era santificato dalla presenza del re. Mentre il duca di Foix che aveva fomentato il litigio era fuggito impunito, l'uccisore era stato costretto a denunciare la propria identità. Che il Cavoye di cui si parla fosse proprio Eustache sembra provato dal fatto che in quello stesso anno aveva lasciato la guardia reale, mentre gli altri due fratelli ancora in vita, Louis e Armand, avevano continuato a servire il re. Subito dopo l'uccisione del paggio, la madre di Eustache era morta, lasciando scritto nel testamento che il suo erede universale sarebbe stato Louis e non Eustache che pure era il più anziano. La decisione era stata presa almeno quattordici mesi prima dell'incidente del paggio, cosa che ci induce a ritenere che Eustache fosse considerato un buono a nulla già da tempo. Unirà concessione per lui, un vitalizio di mille livree l'anno. Sistemato dal punto di vista economico, Eustache era andato a vivere presso il fratello Louis, il quale, ricevuta l'eredità, aveva preso alloggio in nome de Bourbon, non lontano dall'ospizio di carità. Ma nel 1668 Louis Dauger era venuto a trovarsi improvvisamente in serie difficoltà economiche. Aveva tentato di sedurre una nobildonna che si chiamava Sidonia di Courcelles, il cui marito si era sentito oltremodo oltraggiato. Louis aveva accettato la sfida a duello ed era stato tratto in arresto. Dal momento che anche il ministro della guerra, Louvois, era molto interessato alle grazie di Sidonia, aveva trovato il modo di farlo condannare a morte. A salvarlo era intervenuto il ministro Colbert, anche se non aveva potuto impedirgli di scontare i successivi quattro anni alla Bastiglia. Una volta uscito, Louis se n'era andato in giro per il mondo; in quel momento, frattanto, il fratello Eustache si trovava già a Pinerolo. Perché? Che cosa aveva combinato di nuovo? Stando al Duvivier, nel 1668 aveva partecipato in qualche misura all'intrigo noto come "affare dei veleni" o, meglio, a stendere una cortina fumogena sugli eventi scandalistici che ne erano seguiti. La faccenda aveva avuto inizio nel 1673, quando alle orecchie del capo della polizia, Nicolas de la Reyne, erano giunte alcune voci secondo le quali si diceva che certe dame illustri avevano avvelenato e affatturato scientemente i loro mariti. Erano scattate le indagini. Ma erano occorsi più di quattro anni al De la Reyne per venire a capo di un intrigo terribile, una vera e propria congiura dei veleni gestita con estremo profitto da alcune fattucchiere e da certi preti dediti a messe nere. Quasi tutte le dame più in vista alla corte erano fortemente coinvolte, fra cui anche la celebre madame di Montespan, l'amante preferita del re. Il suo scopo era quello di assicurarsi e mantenere l'amore del sovrano, facendo passare in secondo piano le velleità di un'altra temibile cortigiana, la sua rivale acerrima, Louise de la Vallière. A tal fine, la Montespan non aveva esitato a partecipare alle messe nere, offrendo il suo ventre come altare, mentre un prete di nome Guibourg sgozzava un neonato. Nel corso di un'altra cerimonia, finalizzata a ottenere una pozione magica d'amore per il sovrano, si era ottenuta la mistura mescolando gocce di sangue mestruale e dello sperma, ricavato da uno dei presenti che si era masturbato rovesciando il suo seme in un calice da messa. Tutte queste cose orribili avevano a tal punto scandalizzato il re da dar ordine immediato di predisporre un'inchiesta. Le fattucchiere erano state allora condotte in gran segreto in una camera buia, illuminata da fioche candele (detta poi "camera ardente") e sottoposte a tortura, con il preciso impegno che da quelle mura non sarebbe dovuta uscire una sola indiscrezione. La maggior parte di coloro che erano stati coinvolti nella brutta faccenda, erano poi stati condannati al rogo, mentre la Montespan era caduta in disgrazia. Nel 1668, cinque anni prima che il de la Reyne fosse informato della faccenda dei veleni, era già scoppiato un caso simile a Parigi e una fattucchiera chiamata "la saggia" e il suo truce assistente, l'abate Mariette, erano stati accusati di magia nera e stregoneria. Si era fatto un gran parlare a proposito dei filtri e delle pozioni d'amore, di messe nere e delle dame di corte. In questa occasione era venuto alla ribalta per la prima volta il nome della Montespan, ma la cosa era stata messa velocemente a tacere. La strega era stata condannata al carcere a vita, mentre il Mariette, che poteva contare su conoscenze influenti, se l'era cavata con soli nove anni di esilio. Ora, nella nuova faccenda dei veleni, l'abate Guibourg aveva ammesso di essere stato lautamente ricompensato per aver celebrato una messa nera in casa della duchessa d'Orléans su incarico di un chirurgo che dimorava assieme al fratello in una casa nel quartiere di Saint Germain, nei pressi dell'ospedale di carità. Era esattamente qui che Eustache e suo fratello Louis vivevano nel 1668. Un altro resoconto del rapporto a proposito dei fatti della camera ardente parlava, inoltre, di un medico chirurgo, certo d'Auger, incaricato di procurare "droghe". Duvivier immagina che questo d'Auger altro non fosse che Eustache e che era stato proprio il forte coinvolgimento nel losco affare della fattucchiera e dell'abate Mariette a provocare il suo allontanamento da corte. Prove scritte attestano che Eustache era stato arrestato a Dunkerque da guardie di uno speciale corpo di polizia per ordine preciso del re, mentre stava per imbarcarsi alla volta dell'Inghilterra. Probabilmente Duvivier non sbaglia. Eustache avrebbe potuto essere coinvolto nell'affare dei veleni e poteva essere il dottor d'Auger citato nei rapporti. Ma ancora non si capisce come mai il re volesse condurre tutte queste operazioni nella massima riservatezza e segretezza. Dopo tutto, l'abate Mariette era stato esiliato, non ucciso e dunque, se solo avesse voluto, avrebbe potuto tranquillamente vuotare il sacco raccontando tutto ciò che di marcio succedeva presso la corte francese. Ecco perché l'ipotesi di Duvivier a proposito di Dauger visto come mago e spacciatore di veleni convince solo in parte. Ma esiste un'altra e assai interessante ipotesi, quella che collega Dauger con il mistero di Rennes-le-Chàteau. Nel suo bel libro dal titolo “Santo Graal”, Henry Lincoln afferma che Fouquet, lo sfortunato ministro delle finanze, avrebbe potuto essere l'uomo che si celava dietro la maschera di ferro. Ma questo, come sappiamo, è impossibile perché Fouquet era morto nel 1680, vale a dire la bellezza di ventitre anni prima del "vecchio prigioniero". Ma Lincoln sottolinea anche che nel 1656 il fratello di Fouquet, Luigi, era stato inviato a Roma per presenziare alla mostra di un pittore di nome Poussin, il quale aveva indirizzato a Fouquet una strana e curiosa lettera a proposito di alcuni segreti che gli avrebbe potuto far conoscere «per il tramite del signor Poussin, conoscenze che avrebbero fatto molto comodo a qualsiasi sovrano». Si immagina che questi segreti si riferissero a qualcosa che aveva a che fare con il tesoro nascosto di Rennes-le-Chateau. Il quadro di Poussin intitolato “I pastori di Arcadia”, una tela che conteneva la chiave del grande segreto, venne acquistata da Luigi XVI che la teneva nella sua stanza privata dove nessuno la poteva osservare. È possibile che Fouquet conoscesse il segreto di Rennes-le-Chàteau e che per questo il re lo avesse fatto rinchiudere a Pinerolo - dove gli era assolutamente proibito di parlare con chicchessia - per costringerlo a svelarglielo? Esiste ancora una eventualità in questo senso. Stando a Lincoln una parte importante del prezioso segreto concerneva un ordine cavalleresco occulto detto Priorato di Sion, il cui scopo era quello di ripristinare la dinastia dei Merovingi sul trono di Francia. Nel XVII secolo i Merovingi - i discendenti del re Meroveo - erano costretti al casato di Lorena. Il fratello più giovane di Luigi XIII, Gastone d'Orléans, aveva sposato alla sorella del duca di Lorena e c'era stato un tentativo fallito di deporre Luigi per insediare Gastone al suo posto, cosa che avrebbe significato la restaurazione del governo merovingio sul trono di Francia. Il golpe era fallito, tuttavia poiché il re Luigi non aveva figli, la possibilità che qualcuno della casa di Lorena potesse ancora ambire al trono non era svanita del tutto. Era stato proprio in questo frangente che Anna d'Austria, aveva stupito tutti generando il delfino, colui che sarebbe diventato Luigi XIV... Scrive Lincoln: «Stando a scrittori contemporanei e successivi, il vero padre del ragazzo era il cardinale Richelieu, o uno "stallone" designato dallo stesso cardinale…». Chi avrebbe potuto essere questo "stallone"? Il primo candidato che viene alla mente non può che essere l'affascinante capo della sua guardia personale, il comandante dei moschettieri, Francois Dauger de Cavoye. In merito alla nascita di Luigi XIV sono nate molte leggende e versioni. La più diffusa è che il piccolo sarebbe nato a seguito dei tanti sforzi compiuti da Richelieu di far unire i due sposi, riuscendoci, alla fine, una volta in cui a causa di un violento temporale Anna e Luigi erano a lungo rimasti soli in un capanno. Ovviamente non è da escludere che Luigi fosse stato concepito anche solo a seguito di un unico rapporto; ma la cosa sarebbe stata più che sufficiente per presentare il piccolo come frutto del loro amore, convincendo Luigi che l'erede non poteva essere nato che dal suo regale seme... Sono molti gli autori che sottolineano la straordinaria somiglianza fra Louis Dauger de Cavoye, il fratello più giovane di Eustache, e il re Luigi XIV. Cosa del tutto comprensibile e logica qualora i due fossero fratellastri, nati dalla stessa madre. E così alla fine siamo arrivati a immaginare un'ipotesi che può spiegare del mistero dell'uomo dalla maschera di ferro. Lo "stallone" che Richelieu aveva incaricato di ingravidare la regina, altri non era che Francois Dauger de Cavoye. A lui sarebbe toccato il compito di far si che la Francia potesse avere un erede, in modo da contrastare e definitivamente frustrare tutte le aspirazioni degli eredi dei Merovingi (e con essi del Priorato di Sion). Sia Eustache che Louis Dauger sapevano che il re Luigi era loro fratellastro. Ecco spiegato come mai Louis era diventato uno dei suoi favoriti, una volta uscito dalla Bastiglia. Era una persona cui poter affidare un segreto senza tema che lo andasse a spifferare ai quattro venti. Invece, per la pecora nera Eustache, era tutto diverso. Dopo la sua caduta in disgrazia, le dimissioni dalla guardia regia, l'arresto e l'imprigionamento, Eustache aveva cominciato a parlare un po' troppo. Forse aveva addirittura tentato di ricattare il re, con minacce del tipo: rilasciate mio fratello, altrimenti... Per questo Eustache era stato spedito lontano dalla Francia, nella prigione di Pinerolo, con l'ordine tassativo di non farlo parlare con nessuno ed ecco perché, quando il governatore Saint-Mars aveva lasciato Pinerolo per altra destinazione, gli era stato imposto di portarsi dietro il "vecchio prigioniero". Non è neppure da escludere che Eustache fosse coinvolto nel Priorato di Sion e nel complotto per rovesciare Luigi e riconsegnare il trono di Francia alla discendenza merovingia; d'altra parte quale migliore opportunità, per destituire il re dal comando, di quella di rivelare al popolo che egli non era affatto il vero figlio di Luigi XIV che l'aveva preceduto sul trono? Fouquet forse conosceva il segreto ancora prima e pure lui era quasi certamente collegato alle macchinazioni del Priorato di Sion. (Secondo Lincoln, Fouquet era stato arrestato e processato per questo, anche se Luigi aveva provato a farlo condannare a morte invano, dal momento che la corte aveva respinto la richiesta). Ecco anche perché ad Eustache era stato concesso di fare da valletto all'ex primo ministro caduto in disgrazia. Quando però un'altra vecchia conoscenza di Dauger, il duca di Lauzun, era stato pure lui imprigionato a Pinerolo, si era ben badato a tenerli separati e lontani. Questa teoria riesce a chiarire molte cose. Riesce a spiegare, per esempio, perché il ministro della guerra Louvois (di certo al corrente del segreto) aveva raccontato alla sua amante che la maschera di ferro altri non era che il figlio illegittimo che la regina Anna d'Austria aveva avuto dal duca di Buckingham. E non era tanto lontano dalla verità. Rendeva ragione del motivo per cui il re desiderava mantenere segreta l'esistenza del prigioniero. Spiega anche come mai Dauger era costretto a indossare la maschera di ferro quando era in presenza di altre persone: perché essendo suo fratello, il re gli assomigliava in modo impressionante. Infatti, suona impossibile immaginare perché un uomo debba portarsi sul volto per tutta la vita una maschera di ferro, se non è proprio la sua faccia la chiave decisiva di una grande segreto. Ovviamente si deve riconoscere che esistono non poche obiezioni a questa ipotesi. Quando al re Luigi XV venne finalmente svelato il segreto della maschera di ferro dal suo vicario reggente, il duca di Orléans, si dice abbia esclamato: «Bene, se per caso è ancora vivo desidero dargli la libertà». Forse che il nuovo sovrano riteneva davvero poco importante che suo nonno fosse il figlio del capitano dei moschettieri del capitano Richelieu? Può darsi, d'altra parte, al momento, il suo trono era al sicuro. Ma c'è un'altra storia legata a Luigi XV che getta un ulteriore pizzico di dubbio. Quando il duca de Choiseul lo aveva interrogato a proposito del misterioso prigioniero, egli si era rifiutato di parlare, salvo dire: «Sappia, duca, che tutte le congetture fatte fino ad ora sono tutte false illazioni». Poi aveva aggiunto un ultimo, enigmatico, pensiero: «Se conosceste ogni cosa in merito, vi rendereste conto di quanto poco importante sia questa faccenda». Se questo ultimo commento è vero - e non si trattava semplicemente di uno stratagemma per sviare l'incalzante curiosità del duca - ebbene, significa che le migliaia di pagine che sono state scritte sul misterioso uomo che si celava dietro la maschera di ferro, sarebbero state tutte scritte invano.

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