I MIRACOLI DI SAINT-MEDARD |
| Gli stranissimi eventi che ebbero luogo, fra il 1727 e il 1732, nel piccolo cimitero annesso alla chiesa di Saint-Médard a Parigi, in apparenza sono così incredibili e irrazionali che il lettore moderno non può che ritenerli una mera invenzione. Ma farebbe male, perché ad attestarne la veridicità esiste una massa impressionante di documenti e testimonianze, fra cui alcune di medici, magistrati e pubblici funzionali del tutto rispettabili e credibili. I fenomeni ebbero inizio nel maggio del 1727, con la sepoltura del diacono Francois di Parigi, un uomo di soli trentasei anni, morto in onore di santità e autore di molte guarigioni impossibili. |
Francois era un seguace del vescovo Cornelius Jansen, il quale predicava che l'uomo si poteva salvare solo in virtù della grazia divina e non tramite i suoi sforzi. Francois non aveva dubbi: tutti i suoi poteri taumaturgici provenivano direttamente da Dio. Al funerale avevano partecipato in tanti, il popolo era in lacrime. Dopo la cerimonia, il feretro del diacono era stato collocato in un loculo subito dietro il grande altare della chiesa di Saint-Médard. Poi era sfilata la congregazione e la tomba era stata ricoperta di fiori. Quindi era seguito il popolo. Un padre che accompagnava sorreggendolo il figlio storpio lo aveva fatto appoggiare sul feretro. All'istante il ragazzo era stato assalito dalle convulsioni e sembrava gli fosse preso un colpo. La gente, impietosita, lo aveva trasportato in un angolo discosto, per evitare che i suoi contorcimenti disturbassero la processione dei fedeli. Di colpo però gli spasimi erano cessati. Il giovane si era come ridestato, aveva aperto gli occhi, guardandosi attorno con sorpresa, quindi, lentamente, si era rimesso in piedi da solo. Intuita la miracolosa guarigione, un sorriso di gioia gli aveva illuminato il volto e, come d'incanto, si era messo a ballare e a saltare, piangendo e ridendo allo stesso tempo. Il padre, incredulo, lo osservava inebetito: il figlio muoveva con piena energia la gamba destra da sempre rattrappita e priva di muscoli. Qualche giorno dopo dichiarò che l'arto non solo si era riattivato, ma era diventato eguale all'altro, vale a dire tonico e muscoloso. La notizia si era diffusa in un lampo. Nel giro di poche ore paralitici, storpi, lebbrosi, gobbi e ciechi si riversarono presso la chiesa. Dapprincipio la cosiddetta gente "perbene" non aveva dato alcun peso agli eventi: la maggior parte dei seguaci del diacono era povera gente. I benestanti, infatti, preferivano affidare gli affari della loro anima ai potenti Gesuiti, colti e mondani. Ma ben presto tutti si accorsero che l'ignoranza e la credulità del popolo non poteva di certo bastare da sola a giustificare le storie incredibili che stavano ormai diffondendosi in tutta la città. Membra e arti deformi che si raddrizzavano; oscene escrescenze carnose e tumori che scomparivano senza lasciare traccia; piaghe e ferite purulente e dolorose che si risanavano all'istante. Consultati sui fatti, gli esperti Gesuiti affermarono che si trattava di frodi oppure dell'opera del diavolo. Come risultato, la maggior parte della gente di Parigi si rifiutava dunque di prendere per buono ciò che stava clamorosamente accadendo alla chiesa di Saint-Médard. Tuttavia, alcuni personaggi dalla mentalità più aperta, si sentirono incuriositi dal fenomeno e, recatisi alla chiesa, ne erano tornati assolutamente sconvolti. In alcuni casi la loro testimonianza venne scritta, come, per esempio, quella di un certo Philippe Hecquet, il quale tentò di spiegare ogni cosa ricorrendo a fenomenologie naturali. Altri, come il monaco benedettino Bernard Louis de la Taste, si scagliò invece contro coloro che ottenevano i miracoli attaccandoli sul piano teologico, senza comunque riuscire a rintracciare in essi o nei testimoni malafede o inganno. L'accumulo delle testimonianze scritte divenne così voluminoso da indurre il grande filosofo David Hume a scrivere nella sua opera “Ricerca sull'intelletto umano (1748): non sembra di potersi assegnare un certo numero di fatti miracolosi solamente a una persona... ma ciò che è ancor più straordinario è il fatto che questi eventi venivano all'istante avallati sul posto, al cospetto di giudici di indiscussa integrità morale e testimoni credibili, in un'epoca di razionalità... Mi chiedo: dove, in altro contesto, possiamo vantare un così alto numero di circostanze univoche nell'attestare la veridicità di una serie di fatti?”.
Uno di coloro che con maggiore attenzione si applicò alla considerazione degli eventi era un avvocato di nome Louis Adrien de Paige. Quando aveva parlato della questione all'amico, il magistrato Louis Basile Carré de Montgéron, questi, come primo avvertimento, l'aveva messo sull'avviso di stare bene attento a non cadere nella trappola delle falsificazioni e delle truffe ordite da personaggi dubbi e senza scrupoli. Alla fine, però, dopo le tante insistenze dell'amico, il giudice si era deciso a dare un'occhiata di persona alla chiesa, anche solo per il gusto di scoprire in quale modo l'amico, che pure riteneva esperto, era stato ingannato. I due arrivarono a Saint-Médard la mattina del 7 settembre 1731. Quando Montgéron aveva lasciato la chiesa era un uomo diverso, un uomo pronto a sfidare convenzioni e ipocrisie e persino a farsi imprigionare pur di testimoniare la veridicità di ciò che aveva veduto. La prima cosa in cui si era imbattuto appena giunto al piccolo cimitero era un numero imprecisato di donne che si agitavano a terra, aggrovigliandosi nelle posizioni più incredibili, alcune rovesciate all'indietro con la schiena fino ad arrivare a toccarsi i talloni con la testa. Tutte indossavano un lungo abito che scendeva fino ai piedi, arrotolato in vita. Paige spiegò all'amico che quell’abito era di prammatica per tutte quelle donne che desideravano ottenere un qualche miracolo grazie all'intercessione del santo diacono. Attorno a quelle donne smanianti, sin dai primi giorni si era andata intanto a schierare una piccola folla di uomini e ragazzi che seguivano le loro convulsioni con occhio al tempo critico, interessato e curioso. In compenso non mancavano gli assistenti maschi devoti al santo diacono deceduto. Montgéron rimase stupito da un fatto: alcune fra le donne in preda alle smanie venivano duramente flagellate e percosse, almeno per quello che gli era riuscito di intuire nella grande confusione di quel luogo. Gli addetti alla chiesa le battevano sonoramente con sottili verghe di metallo o di legno. Altre invece stavano coricate a terra, portando appoggiati sul corpo dei grandi pesi. Una giovane, il busto scoperto, si lasciava invece pizzicare i capezzoli da un uomo che glieli torceva con un paio di pinze metalliche. Nessuna fra le torturate si lamentava, anzi, al contrario molte sollecitavano le fustigazioni e le pene. La cosa più stupefacente consisteva nel fatto che, dopo questo, un gran numero di loro era risanata da malattie e deformità dalle quali erano afflitte da tempo. In un altro settore del cimitero, i due investigatori notarono una ragazza di non più di diciotto anni tranquillamente seduta a un tavolo. La scena sembrava del tutto normale, se non che avvicinandosi, Montgéron aveva notato il contenuto del piatto dal quale la ragazza stava mangiando: dall'aspetto e dall'odore non potevano esserci dubbi: si trattava di escrementi umani, mentre la giallastra bevanda che accompagnava ogni boccone era urina. La ragazza era stata condotta alla chiesa per essere risanata da quella che noi oggi chiameremmo una nevrosi: si sentiva spinta a lavarsi le mani ogni momento ed era così schizzinosa nei confronti del cibo da non accettare nulla che già fosse stato toccato da qualcun altro. La forza miracolosa del diacono l'aveva guarita al punto che da giorni di sua spontanea volontà si era messa a mangiare escrementi e a bere urina, con gioia e piacere, a dimostrazione che da quel momento in poi a tavola nulla più le avrebbe fatto ribrezzo. Ma la cosa ancor più eccezionale stava nel fatto che dopo ogni pranzo di questo genere, la ragazza apriva la bocca da cui le zampillava del latte. Paige ne aveva raccolto una tazza e aveva avuto modo di constatare che, almeno all'apparenza, si trattava in modo inequivocabile di latte di mucca. Passati oltre la ragazza che si nutriva di escrementi, i due curiosi investigatori stavano per affrontare un'altra, insospettata prova. In un'ulteriore parte del cimitero un gruppo di donne si era volontariamente offerto per ripulire ferite purulente e bubboni ulcerosi leccando le ferite con la lingua. Trattenendo a stento la spinta al vomito, Mongéron si era fatto forza e si era avvicinato a una piccola ragazza cui stavano sfasciando una gamba tutta in suppurazione e piena di chiazze di pus giallastro. In alcuni punti la ferita era così profonda da consentire di scorgere l'osso. La donna che si era offerta per la singolare pulizia era una delle convulsionarie, già risanata dal volere divino. Dio ora l'aveva fatta strumento per altre guarigioni, ma soprattutto per dimostrare come la sensazione del ribrezzo e del disgusto potesse venire facilmente superata applicandosi a un'opera meritevole. Malgrado tutto, anche lei era sbiancata in volto quando le avevano presentato la gamba putrefatta della ragazza. Dopo un attimo di concentrazione, rivolti gli occhi al cielo, la donna aveva pregato per qualche istante, poi si era chinata, aveva poggiato il volto sulla gamba e aveva iniziato a leccare le ferite, emettendo dalla bocca una sostanza medicamentosa che le avrebbe risanate. Finita l'operazione, che si era protratta per qualche momento, Montgéron aveva potuto constatare come le ferite fossero state tutte perfettamente ripulite dalla lingua della convulsionaria. Qualche tempo dopo Paige attestò che la guarigione della ragazza era a buon punto e che sarebbe stata senz'altro completata dopo qualche altra applicazione. Ciò che i due videro subito dopo, vinse ogni loro resistenza e ogni loro dubbio, facendo toccare con mano che in quel luogo, in quei giorni, essi erano testimoni di qualcosa di profondamente significativo. Alla chiesa era arrivata una ragazza di sedici anni, Gabrielle Moler, che aveva suscitato un grande interesse attorno a sé. Montgéron si rese conto che ciò che la riguardava faceva di lei un personaggio, come dire, celebre, eclatante, pur in mezzo a tante straordinarie prestazioni e meraviglie. Toltasi il mantello, lo aveva disteso a terra e ci si era coricata sopra, la gonna fermata ai fianchi. Con lei erano arrivati anche quattro uomini che portavano delle barre di ferro appuntite e che ora, in piedi, le si erano messi attorno. A un suo sorriso, le avevano piantato le barre nello stomaco. Ad un tratto, quando le punte avevano perforato le vesti e stavano per penetrare nella carne, Montgéron si era trattenuto a stento dall'intervenire in salvataggio della ragazza. Eppure, anche a ben scrutare, non c'era traccia di sangue. D'altra parte, nessuno si era mosso e la stessa ragazza mostrava apertamente di essere calma e serena. Quindi le barre le erano state premute a tutta forza contro il mento, rovesciandole la testa all'indietro. Sembrava inevitabile dovessero fuoriuscire dalla bocca, ma così non era avvenuto e osservando da vicino i punti di contatto non si notava alcuna ferita. Poi i quattro energumeni avevano preso delle pale metalliche col bordo affilato e le avevano premute con forza sul petto della ragazza, la quale non aveva battuto ciglio, anzi si era messa a sorridere. Il petto di una persona normale, aggredito con tanta forza e violenza da attrezzi simili si sarebbe dovuto squarciare ed invece quello di Gabrielle aveva resistito senza riportare alcuna ferita. Una delle pale taglienti le era stata piazzata proprio sulla gola e l'uomo che la maneggiava si era dato visibilmente da fare per staccarle la testa dal collo, senza ottenere il benché minimo risultato. Non le aveva neppure scalfito la pelle del collo.
Completamente frastornato, Montgéron aveva seguito altri esperimenti. Ad un certo momento Gabrielle era stata battuta con violenza con una specie di grande manganello di ferro pieno e sul suo corpo disteso a terra era stato lasciato cadere dall'alto e più volte un peso di 25 kg senza che la ragazza desse segno di sofferenza. Infine, proprio davanti ai suoi occhi, Montgéron l'aveva vista mettere la testa in un falò senza neppure scottarsi. Lui si trovava così vicino al fuoco da avvertirne il forte calore, eppure né i capelli né le ciglia della giovane erano stati bruciati. Quando poi Gabrielle, afferrato un carbone ardente aveva fatto segno che l'avrebbe messo in bocca, i nostri due curiosi indagatori non ce l'avevano fatta a resistere e se n'erano andati. La curiosità li aveva però riportati altre volte presso la chiesa, fino a quando Montgéron non ritenne di aver raccolto materiale sufficiente per redarre il primo dei suoi volumi dedicati ai fatti miracolosi di Saint-Médard. Credendo di fare chissà quale bella figura, Montgéron ne aveva fatto dono al re Luigi XV, il quale ne era stato così fortemente scosso, da indignarsi e ordinare di lasciare in carcere il povero autore. Ma Montgéron non si era certo arreso; sapeva di poter corroborare ciò che raccontava con la testimonianza di molte persone e così, appena uscito di prigione aveva pubblicato altri due volumi di meticolosi rendiconti, pieni di osservazioni e attestazioni scientifiche riguardanti quei fatti straordinari. L'anno successivo l'imprigionamento di Montgéron - vale a dire il 1732 - le autorità parigine deciso che ciò che stava accadendo a Saint-Médard stava andando avanti ormai da troppo tempo e, non essendo uno spettacolo edificante, avrebbe dovuto cessare una volte per tutte. Venne così ordinato di chiudere il cimitero. C'era però un particolare di cui non si era tenuto conto: le convulsionarie avevano scoperto che quelle loro prestazioni straordinarie potevano ottenerle anche in altri luoghi e dunque, imperterrite, avevano continuato nelle loro attività. Un altro scettico incallito come lo era stato Montgéron, era lo scienziato La Condamine. Pure lui però ebbe modo di cambiare opinione. Un giorno del 1759 aveva infatti assistito a un evento per lo meno singolare. Una ragazza, conosciuta come sorella Frangoise, si era fatta crocifiggere per alcune ore a una croce di legno. Mani e piedi erano stati inchiodati con lunghi chiodi di ferro e il costato trafitto con una punta metallica. Esaminando la ragazza, La Condamine ne aveva ovviamente constatato le ferite e il singolare fatto che sanguinavano quando venivano rimossi i chiodi, tuttavia le sue condizioni non potevano certo dirsi gravi, dal momento che un simile supplizio avrebbe provato in modo ben peggiore qualunque altro soggetto. Raccontati i fatti, che dire dal nostro punto di vista di osservatori del XX secolo? Per alcuni studiosi si trattò di un caso, forte e imperioso, di ipnosi collettiva, di suggestione di massa. Ma anche se questa ipotesi potrebbe in qualche modo spiegare i casi come quelli della mangiatrice di escrementi o delle leccataci di ferite purulente, diventa meno credibile al cospetto di casi come quello di Gabrielle Moler. Questo, infatti, ci rimanda più che altro alle cerimonie ritualistiche di dervisci e fachiri. J.G. Bennett, per esempio, nel suo libro “Witness”, descrive una cerimonia derviscia in cui un uomo coricato a petto nudo usciva indenne da una prova sconvolgente: due energumeni premevano con tutta la loro forza due lame affilate e appuntite come rasoi sul suo ventre, saltando e accanendosi nel vano tentativo di squartarlo o per lo meno ferirlo. Ciò che in queste circostanze si attiva sembra possa definirsi come il prevalere della mente sulla materia, qualcosa di ancora più profondo e potente dell'ipnosi, non ancora compreso e meritevole di tutta la nostra attenzione di studiosi. Riteniamo che smettere di andare a caccia di una soluzione di ordine scientifico per i miracoli di Saint-Médard sarebbe un atteggiamento da sciocchi. Nel frattempo però non lasciamoci neppure troppo sviare o ingannare dalle spiegazioni troppo superficiali degli scettici incalliti. |
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