domenica 26 settembre 2010

Santo Graal

Cos’è realmente il Graal? E’ un principio univoco? Il Graal è tante cose, ma per capire il Graal occorre necessariamente comprendere il sacro principio della Grande Madre e il suo culto poiché, più di ogni altra cosa, il Santo Graal è associato all’eterno femminino. Ne consegue che il Graal è Melkisedeq, il Re del Mondo nel suo aspetto femminile e naturante, ed essendo Melkisedeq associato inequivocabilmente alla Tradizione Eterna poiché egli stesso eterno (Ebrei 7:3) il Graal, sotto un certo aspetto è la Tradizione Primordiale. Gli egizi venerarono il Melkisedeq attraverso Iside, la Vedova, la Vergine Luce che offre all’iniziato (figlio della vedova) la sacra conoscenza. Gesù si fece Sacerdote al modo di Melkisedeq (Ebrei 7:15) poiché era un Nazirita, occultamente un Figlio della Vedova.





Qualcuno ha affermato che il Graal sia la tradizione segreta cristiana, il che è vero sotto certi aspetti, ma è limitativo, poiché il Graal medievale ha a che fare anche con la tradizione druidica, ove la coppa era sostituita dal calderone, pur rappresentando lo stesso principio. Lo stesso calderone, in ogni modo, è presente persino nell’alchimia induista, come mostrato nel Rasarnava, ove l’alchimista punta a divenire siddha (Uomo Perfetto) immergendosi in un calderone di olio bollente ricolmo di pillole di mercurio: figura della cottura nel proprio brodo alchemico. Calderone e coppa trovano il loro omologo ermetico nel “cratere” (Corpo Ermetico, Asclepio 4.4), ognuno di essi simbolo del contenitore graaliano-alchemico. Fu il cristianizzante Sir Thomas Melory a coniare per primo il termine “Holy Grail” nel suo Le Saint Graal. Egli sosteneva che il Graal era il sacro recipiente, confondendo il Graal con il contenitore anziché identificarlo col contenuto. Malory non è stato certo l’unico ad aver commesso l’errore. Sì, perché in realtà il contenuto del sacro calice non era vino, ma sangue o un estratto del sangue che gli alchimisti codificano da sempre col termine “sale” e che si identifica con quel calice di amarezza che Gesù per un momento non volle bere. Il graal ha a che fare strettamente col sangue, che si tratti del mestruo femminile come veicolo della forza, del sangue come veicolo dell’anima, della genetica come dimora dell’Anziano dei Giorni in noi. Se intendiamo che il Graal si identifichi col sangue, obiettivo dell’iniziato alchimista è quello di volgere il graal in Santo Graal, ovvero il sangue/genetica in sangue blu/genetica superiore. Quindi, la reale dizione, sul piano strettamente alchemico, non deve essere Graal ma Santo Graal. Volendo utilizzare il lessico alchemico, è come confondere il piombo con l’oro. Il Graal/piombo, la materia grezza, deve trasmutare in Santo Graal/oro. La materia deve spiritualizzarsi.


 (Artù, un dio Fenicio?

Occorre quindi attuare uno sforzo di interpretazione dei dati in nostro possesso per capire cosa realmente si celi dietro il personaggio di Artù. Il nostro parere è che una certa tradizione, molto antica, rappresentata dalla tradizione druidica celtica e da quella templare, fa emergere, in un dato momento della storia (XII secolo) ancora una volta l’archetipo del Re dei re e del Re-Sacerdote: Melkisedeq, il Re del Mondo; e ne manifesta il sacro Ordine simboleggiato dai dodici cavalieri fedeli al Re Sacro archetipale. Vediamo perché. Melkisedeq, il“Re del Mondo”, tema ricorrente nei nostri articoli, era noto ai Fenici, in particolare a Tiro, come “Melkhart”, tradotto in lingua fenicia: “Principe della Città”. Era il Genius Loci di Tiro, l’equivalente del santo protettore, figura archetipale che nasconde da sempre in realtà il difensore interiore della cittadella cardiaca. Melkhart era il corrispondente fenicio dell’Ercole greco: Mercole o Mercurio, il Figlio di Dio. Il culto di Melkhart penetrò nella stessa Grecia nella forma di Melicerte-Palamone, venerato in diverse città greche ed in particolare nelle isole Egee e a Tenedo. I Romani lo chiamarono “Portunno” e “Guardiano della Porta”, e lo assimilarono all’archetipo di Giano. Era considerato un Dio Marino (come Oannes e Enki) e protettore dei Porti e dei Naviganti. Ebbene, pochi sono al corrente che l’espressione inglese King Arthur (Re Artù) non origina dal nome del Signore della Guerra romano “Lucius Artorius Castus”, come vorrebbe l’ultima pellicola hollywoodiana ma, molto più profondamente, dalla antichissima tradizione fenicia di Melkhart, poichè nelle lingue ebraico-fenicie il termine “melek” o “melk”sta sempre per “Re”. C’è anche da sottolineare che “Re Artù” significhi occultamente: ”Re del Mondo” (heart in inglese è Terra). Nel nome di Artù è codificata la Via Alchemica della trasmutazione e del sacerdozio regale al modo di Melkisedeq: l’Arte Reale, meglio nota come “Alchimia”, che fa degli iniziati Re e Sacerdoti di sè stessi, senza bisogno alcuno di interessate e profittevoli intermediazioni. Il senso segreto di Re dell’Arte, proprio di Melkhart e di Artù, appartiene anche alla Mesopotamia poichè nella lingua sumera, “Sid” significa “Signore”, poi divenuto nell’arabo “Sayyid” o “Cid”. I Celti identificavano nella doppia figura di Artù-Merlino, il Re ed il Sacerdote-Mago: Melkisedeq. Artù rappresenta proprio l’aspetto della regalità di Melkisedeq, perchè Artù è Melkisedeq. Melkisedeq è il Re di Agartha, il regno sotterraneo, come Artù è il Re di Avallon. Anticamente Agartha era Ahartha; per cui dire Re Artù equivale a dire anche: “Re di Agartha” e “Re del Mondo”. Ma Artù è anche il Re di Camelot, da molti esegeti ritenuto un nome occulto per indicare la contea di Somerset, uno dei centri nevralgici del Graal. In realtà “Camelot”, a nostro parere, originerebbe dall’ebraico “qabalot” che significa“tradizioni”, perché simbolo del centro di irradiazione di tutte le tradizioni iniziatiche legate alla Tradizione Primordiale. I grandi seguaci del Graal celtico-templari che hanno voluto nascondere Melkisedeq sotto le spoglie di Artù, conoscevano la qabala e la lingua ebraica, e vollero indicare con la “Contea di Camelot”, la terra delle tradizioni, la mitica regione eterica nota nella Tradizione Occidentale con il termine “Salem” (Terra di Pace o di Quiete). La conclusione non può essere che univoca, ed è nota ai migliori esoteristi e uomini della Tradizione: non è mai esistito un Re di nome Artù. Questo è un nome qabalistico della regalità al modo di Melkisedeq, la cosiddetta regalità divina, codificato dai Celti e dai Templari nei romanzi dedicati al ciclo del Graal. Quelli che cercano un Artù storico perdono il loro prezioso tempo. Artù è il simbolo dei sovrani-sovrumani della Britannia, che già esistevano prima dell’èra cristiana, come eredi dei mitici “Tuatha de Danaan” e in tempi successivi della dinastia del Graal davidico, di origine fenicia e non ebraica, (ramo di Jesse) che fu portata in Gran Bretagna da Giuseppe di Arimatea. La leggenda che vuole Giuseppe condurre il Santo Graal nasconde il tentativo riuscito di portare uno dei due figli di Gesù, aventi sangue reale (sang reàl – graal), al sicuro nelle isole britanniche. Da questo figlio sarebbe scaturita una stirpe davvero molto speciale, come avverrà in Francia con i Merovingi, eredi dell’altro figlio di Gesù e della Maddalena. Di qui, la doppia origine fenicia del nome Artù: da una parte il culto antico di Melkhart, dall’altra l’esistenza di una sacra stirpe di origine fenicia attraverso Gesù il Galileo. Si tenga anche conto che, tra i Celti, il Re Supremo era l’“Ard Ri”, il Re Artù, ed il suo animale totemico era proprio l’Orso [greco Arktos, e inglese Bear, analogo all’ebraico Bar-Figlio]. Artù-Melkisedeq, in Britannia, è strettamente legato a questo animale. Non deve quindi sorprendere che il termine“Orso” ricordi il Cristo dei sacerdoti egizi: Horus, la luce in noi. “Arktos” è secondo la sacra Temura (l’attribuzione di un valore numerico preciso a ogni lettera) analogo al termine egizio “Horakti” o“Hore-kuti”, Horus nell’Orizzonte, l’Orizzonte visto come Oriente Spirituale: il Regno di Dio dentro di noi. Arcturus è peraltro una delle stelle dell’Orsa Maggiore, ed è detta il “Guardiano dell’Orsa”, ossia “Custode del Centro Primordiale”. “Arta” nel linguaggio avestico-zoroastriano è il termine per“verità”; questo significherebbe che Re Artù è il Re di Verità, il Cristo-Melkisedeq della tradizione iniziatica britannica. In effetti, la Tradizione druidica dell’Albero della Vita, abbinata alla conoscenza templare, codificò con Artù il settimo cielo, che nell’Albero qabalistico è noto come “Kether”(Corona). La sephira Kether è la Sephira del Padre corrispondente al chakra della Testa, ossia l’Oriente spirituale di cui sopra.)


 La spada-verbo
Artù, in Britannia, è una riproposizione dell’archetipo del Cristo e di Michele: la medesima energia-intelligenza. Cristo nei Vangeli dice di essere venuto a portare la spada, descritta uscire dalla bocca con un doppio taglio, ciò ad indicare l’aspetto del verbo creatore e distruttore della forma. Parimenti, Michele utilizza la spada cherubica in forma di fiamma roteante a doppio vortice (caduceo ermetico) per allontanare gli indegni e distruggere le forze perverse. Non è quindi casuale che Artù estragga dalla roccia (materia-acqua, osso sacro) la spada-verboExcalibur o Caliburn, con il cui potere farà rifiorire il Regno, interiore ed esteriore, e lo custodirà dalle forze maligne. Non è casuale neanche che i termini inglesi “sword” (spada) e “word” (parola) siano analoghi. L’estrazione della spada dalla roccia equivale alla vittoria del Cristo sul legno (materia) della croce. L’iconografia della croce sul Golgota e della spada conficcata nella roccia è la medesima. Vincere la croce ed estrarre la spada sono il simbolo della riappropriazione della parola-verbo perduta, dell’immenso potere creatore e distruttore di cui il Dio in noi si riappropria dopo un processo di grande sofferenza. Alì, il fratello del profeta Maometto, cavaliere muslin, definì la spada come “mannaia di vertebre”, essendo la rappresentazione simbolica del potere latente nel midollo spinale umano. Il simbolismo esoterico della spada è estremamente potente, a tal punto che i Cavalieri Templari la codificarono come l’arma iniziatica per eccellenza, poichè essi sapevano che la spada era la rappresentazione del potere kundalini che si srotola lungo la spina dorsale, la stessa spada che in Genesi viene descritta come roteante in mano al cherubino. Orione, parimenti, è descritto con una spada, e di Horus, nei Testi delle Piramidi 247, è detto: “Horo, tremano i grandi quando han visto la spada che è nella tua mano quando tu esci dalla Duat”. Excalibur, spada archetipica, viene spezzata da Artù in un duello ma la Dama del Lago, l’Anima Superiore, la rinsalderà, non prima di averla immersa nell’acqua. L’episodio allude alla reintegrazione e alla restaurazione della luce che solo le acque filosofali dell’alchimia possono permettere. Solo la Donna Interiore, l’anima, la Signora delle Acque (Dama del Lago) può riparare ciò che è peccaminoso infrangere. Quindi, la Spada che sorge dalle acque è il parto del Verbo che emerge dalle acque interiori e che è destinato a dominarle, come le dominava Gesù (il Verbo Vivente) prima immergendovi ed emergendovi (battesimo) e poi camminandovi sopra. Solo con Excalibur, la Forza al suo fianco,aiutato dalla magia bianca (Merlino), Artù poteva divenire custode e garante di pace e giustizia, e proteggere il Regno da tutte le forze demoniche.

 

 

Le origini storiche e bibliche della leggenda del Sacro Graal, analizzate con riferimenti alle Sacre Scritture e alle opere letterarie medievali

Le leggende hanno parlato del Sacro Graal, la coppa da cui Gesù e i discepoli avrebbero bevuto durante l'ultima cena e che permetterebbe di dare la vita eterna, fin dal Medio Evo. Tutto ebbe inizio con i Vangeli:
Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: "Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati." (Matteo 26:27-28)
Era questa coppa davvero una coppa speciale usata all'Ultima Cena o era piuttosto una normale coppa da tavola? Con molta probabilità, piuttosto che fatta in metallo, la coppa in questione era intagliata nel legno o realizzata in gesso bianco o altra tipo di roccia calcarea in cui molte coppe del primo secolo dopo Cristo erano realizzate. E se così fosse stato, è improbabile che la coppa sia sopravvissuta attraverso i secoli come avrebbe potuto fare una di metallo.
Tuttavia, nel Medio Evo, questa coppa, fosse essa simbolica o reale, divenne molto popolare. Secondo lo storico britannico Richard Barber, le prime prove della coppa considerata come reliquia sono datate al tardo settimo secolo dopo Cristo. Un vescovo franco chiamato Arnolfo viaggiò fino in Palestina e mise per iscritto il racconto del suo viaggio. Egli scrisse che in una Chiesa del Santo Sepolcro in Gerusalemme, vide un calice d'argento conosciuto come la "Coppa del Signore".
Tra la basilica del Golgotha e il luogo del Martirio, si trova una cappella in cui è custodito il calice del Signore, che egli benedisse con le proprie mani e diede agli Apostoli quando sedeva alla cena il giorno precedente il suo supplizio. Il calice è d'argento, ha la dimensione di una pinta gallica e ha due maniglie lavorate su ciascun lato... Dopo la Resurrezione, il Signore bevve da questo stesso calice, secondo quando indicato alla cena con gli apostoli. Il santo Arnolfo lo vide e attraverso un'apertura del reliquiario dove era riposto, egli lo toccò con mano propria.
Rappresentazione del Sacro Graal - Immagine in pubblico dominio, fonte Wikipedia Rappresentazione del Sacro Graal
Il termine graal viene dallo scrittore francese Chretien de Troyes che scrisse un romanzo intitolato Perceval. L'autore morì nel 1190 d.C. prima di completare l'opera. In essa, un giovane cavaliere visita il castello del Re Pescatore dove vede una strana processione nella quale è presente un piatto d'oro incastonato di gemme e chiamato "graal". Esso era un oggetto sacro utilizzato per trasportare l'ostia consacrata. Nella processione, egli vede anche un ragazzo che trasportava una lancia sanguinante dalla punta, probabilmente un riferimento alla lancia che ferì il costato di Gesù sulla croce (Giovanni 19:34) e perciò si finì col collegare questo graal con un artefatto della Passione. Poiché la storia non fu mai finita, è impossibile sapere cosa intendesse l'autore.
Cionondimeno, questa storia incompleta divenne la fonte da cui attinsero numerosi autori che si riproposero di completarla. Le due opere più famose così ottenute sono il Parzifal di Wolfram von Eschenbach e La Storia del Graal di Robert de Boron. Boron, il quale scrisse agli inizi del tredicesimo secolo, fu il primo autore a riportare che il Graal si potesse identificare con un artefatto usato nell'Ultima Cena. Egli scrisse che la coppa fu trasportata da Gerusalemme alla "terra in Occidente" (forse la Gran Bretagna) dove divenne il fulcro della leggenda di Re Artù.
La maggior parte degli scrittori medievali descrive il Graal come un qualche tipo di coppa o piatto, sia in riferimento al piatto in cui Giuda intinse le proprie dita sia in relazione alla coppa da cui i discepoli bevvero (Cfr. Matteo 26:23,27).
La parola "graal" potrebbe derivare dal latino gradalis che si riferisce a una larga base da portata per servire le carni. Potrebbe anche essere legata al greco krater, un imponente calice con maniglie. Quest'ultima è l'interpretazione che gli scrittori successivi preferirono.
Nella terza parte del poema di Boron, Giuseppe di Arimatea, uno dei seguaci di Gesù, ricevette la coppa da Ponzio Pilato dopo la Crocifissione. Successivamente egli fu imprigionato, ma il Cristo risorto lo sorreggerà per quarant'anni in prigione, tramite il Graal. Quando venne rilasciato, Giuseppe costruì una "tavola del Graal" con tredici posti per commemorare l'Ultima Cena, dando subito dopo il graal al suo fratellastro, Bron, che l'avrebbe trasportata in occidente. Più tardi, Merlino avrebbe consigliato al padre di Artù di costruire la Tavola Rotonda basata proprio sulla Tavola del Graal di Giuseppe.
Sempre nel poema di Boron, Giuseppe usò anche il Graal per raccogliere il sangue di Gesù quando fu sepolto dopo la Crocifissione:
Caro nipote, sappi che questa è la lancia con cui Longino colpì Gesù Cristo sulla croce e in questo recipiente che è chiamato Graal, sappi che è contenuto il sangue che Giuseppe raccolse dalle Sue ferite mentre fluiva verso terra, e la ragione per cui lo chiamiamo Graal è che è santo a tutti gli uomini di valore e a tutti coloro che possono restare in sua presenza; né esso permette il peccato in sua presenza.
Secondo Wolfram, il Graal dispenserebbe cibo e bevande ai cavalieri affamati, purché spiritualmente puri:
Perché, se ai tuoi giuramenti terrai fede,
Il Graal di tutti si prenderà cura
Qualsiasi cosa si voglia
Il Graal la concederà:
Piatti caldi, piatti freddi,
Piatti nuovi e piatti vecchi,
Carne che è addomesticata e carne che è selvaggia.
La Tavola Rotonda di Re Artù come trasposizione anglosassone della tavola dell'Ultima Cena realizzata da Giuseppe di Arimatea  - Immagine in pubblico dominio, fonte Wikipedia La Tavola Rotonda di Re Artù come trasposizione anglosassone della tavola dell'Ultima Cena realizzata da Giuseppe di Arimatea
Gli scrittori medievali spesso descrivono un forte legame tra il graal e il corpo e il sangue di Gesù, dimostrando come fosse un simbolo dell'Eucarestia.
Nel XII secolo, la chiesa cattolica dovette affrontare in Francia la minaccia degli eretici catari, che sfidavano l'insegnamento della Chiesa nel quale l'Eucarestia era la via per la salvezza. Fu allora coniato il termine transustanziazione per descrivere la trasformazione del pane e del vino benedetti da un prete nel corpo e nel sangue di Cristo.
Numerosi calici e coppe nei secoli sono stati indicati come il Santo Graal. Per esempio il calice di Antiochia, in argento, attualmente conservato al Metropolitan Museum di New York. Venne ritrovato nel 1908 e apparteneva a una chiesa di Kaper Karaon vicino a Antiochia. È decorato con viti, animali e dieci Apostoli seduti, più due immagini di Gesù. Questo artefatto è probabilmente databile intorno al VI secolo d.C.

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