Nel medioevo molteplici furono gli usi delle armi, nell'assedio e nella difesa. Ecco qui una carrellata di ''strumenti'' usati in quel tempo.
Una delle armi innovative più usate era la balestra. La balestra nacque come arma da caccia nel periodo medievale ed il suo uso si diffuse in particolare in Germania, in Svizzera e in gran parte dell'Italia. È costituita da un arco detto braccio, collegato perpendicolarmente ad un'asta di legno ed azionato, per il ricarico dei dardi, da una manovella che tende la corda, opportunamente fissata mediante un gancio. Rispetto all'arco, la balestra era molto più precisa e potente, tant'è vero che rappresentava l'equivalente medioevale dell'attuale bomba atomica, ma anche molto più lenta da ricaricare e pertanto veniva spesso utilizzata nei castelli dove questo difetto assumeva poca importanza, in quanto il tiratore all'interno delle mura aveva più tempo per armare la balestra. Talvolta per evitare gli inconvenienti causati da questo difetto, il tiratore aveva a disposizione due balestre ed era affiancato da un'aiutante il cui compito era quello di ricaricare l'arma. Successivamente, con l'introduzione del martinetto, un attrezzo munito di una manovella di avvolgimento e di un dente di arresto, fu possibile ricaricare l'arma anche stando a cavallo. Di solito la balestra si utilizzava mettendo una goccia di cera d'api sulla punta del dardo in modo da facilitare la penetrazione della freccia nelle piastre delle armature. Sin dalla sua comparsa, il tiro a bersaglio era abbastanza incoraggiato a livello agonistico; infatti ogni città costituiva la propria società di tiro con la balestra al fine di poter gareggiare contro quelle di altre città. Nonostante la precisione e l'efficienza, fu in seguito sostituita dall'arco.
L'arco era una tipica arma medievale molto diffusa in tutti i paesi europei. Era costituito da un'asta di legno a forma di D, alle cui estremità, più sottili, sono presenti degli incavi necessari per fissarvi la corda di canapa. Generalmente, per la sua fabbricazione, veniva usato il legno di tasso, ma anche quello di olmo, nocciolo, frassino e altri ancora. Vari sono i tipi di arco, ma il più noto è sicuramente l'arco lungo tipico degli inglesi, ricavato da un ramo flessibile di legno di tasso alto all'incirca quanto l'arciere che doveva utilizzarlo. Un arco lungo da battaglia era in grado di scagliare una freccia a trecento metri di distanza e di perforare una corazza di maglia; ciò, chiaramente, richiedeva una forza non indifferente da parte dell'arciere. Durante i combattimenti ogni arciere aveva con sé circa una dozzina di frecce e quando le terminava, poteva fare rifornimento sui carri al seguito. Le frecce potevano essere di vario tipo a seconda della loro funzionalità; ad esempio erano alettate quando dovevano essere scagliate contro gli animali, a stiletto invece quando dovevano perforare una corazza a piastre. Per costruire una freccia un esperto impiegava circa un ora e tre quarti e venivano usati molti tipi di legno, circa dodici, ma quello più utilizzato in assoluto era senza dubbio il pioppo. Bisogna ricordare che la produzione degli archi era un'attività molto bene organizzata: infatti, venivano controllate le quantità prodotte e registrate le importazioni, secondo le qualità degli archi stessi.
Anche l'ariete fu una fondamentale arma di distruzione. L'invenzione dell'ariete fu a lungo attribuita ai Cartaginesi da Ateneo, un autore di incerta nazionalità e di difficile collocazione storica. Infatti, in un suo trattato sulle macchine d'assalto, egli sostiene che i Cartaginesi l'avrebbero usato per la prima volta nell'assedio di Gades, oggi Cadice, in Spagna, nel 206 a.C. nel corso della seconda guerra Punica. In realtà l'ariete appare in diverse raffigurazioni storiche, come le pitture egizie e i bassorilievi degli Assiri. L'ariete viene adottato anche nel medioevo. Era usato come strumento d'urto per abbattere porte o creare brecce nelle mura durante gli assedi. È costituito da una trave molto grande avente all'estremità una grossa scultura in legno o in bronzo spesso a forma di ariete per evocare il modo di attacco a testa bassa. La trave era manovrata da più uomini, ma talvolta per evitare oscillazioni era anche sostenuta da una struttura in legno o semplicemente poggiata su carri. Nel medioevo l'ariete venne chiamata anche Montone o Gatto, ma molto più frequentemente rompimuro.
Ma la vita dei cavalieri, era protetta da una corazza o armatura. L'armatura ebbe il suo massimo sviluppo nel quindicesimo secolo, continuò a perfezionarsi fino alla fine del XVI secolo per poi decadere rapidamente nel XVIII. Già all'inizio dell'undicesimo secolo i cavalieri indossavano una cotta d'arme ovvero una veste di maglia fatta di tanti piccoli anelli intrecciati.
La cotta pesava all'incirca quattordici chilogrammi ed era aperta sulla parte inferiore, sia avanti che dietro, in modo tale da permettere al cavaliere di stare a cavallo. Verso il 1300 il cavaliere era coperto di maglia sulle mani, sulle braccia e sui piedi e indossava un cappuccio in maglia per proteggere il capo. Nel 1400 già moltissimi cavalieri indossavano armature fatte interamente di piastre di metallo scoperte. Gli scudi ormai non servivano più. L'armatura in maglia di ferro era robusta ma anche flessibile, cosi un colpo di un'arma pesante poteva provocare la rottura delle ossa senza rompere o strappare la maglia di ferro. Con l'invenzione dell'armatura a piastre il cavaliere era quasi al sicuro. Aveva delle robuste piastre con una superficie curva e liscia che faceva si che le punte delle armi schizzassero via. All'incirca un'armatura pesava tra i venti e i venticinque chilogrammi, un peso che veniva distribuito su tutto il corpo. Il cavaliere poteva muoversi facilmente anche se indossava una armatura completa. L'armatura quindi si presentava come una buona soluzione ai problemi fin allora irrisolti. In certi casi l'armatura poteva diventare però molto stancante, basti pensare che sotto il sole o sotto gli sforzi fisici essa si surriscaldava e tratteneva calore. Intorno alla metà del quindicesimo secolo, l'armatura era così complessa e costituita da molti pezzi da far supporre che per la vestizione ci volessero ore. In realtà molti dei pezzi erano già attaccati l'uno con l'altro, quindi la vestizione non risultava così difficile e complessa come sembrava, basti pensare che un cavaliere poteva essere vestito, da due scudieri, in soli dieci-quindici minuti.
Le persone più ricche e i cavalieri erano soliti ordinare la propria armatura ai più famosi laboratori situati in Germania e in Italia. Ad essi spedivano i propri vestiti, in modo tale che l'armatura aderisse meglio al proprio corpo. Per diventare un vero armaiolo servivano parecchi anni di pratica presso una bottega. Alcune armature potevano essere, mediante il calore, dipinte oppure colorate di blu. I bordi a volte venivano decorati con bordature di rame, lamierino, o addirittura con oro e argento. Su queste bordature potevano essere incisi dei disegni all'acquaforte con acido e in certi casi decorati in oro. L'armatura di un cavaliere spesso portava dei segni d'identificazione impressi sulla stessa. Normalmente si trattava del marchio dell'armaiolo oppure l'indicazione della città in cui l'armatura era stata costruita. Tutto ciò, chiaramente, a riprova della qualità e garanzia del manufatto.
L'arma più importante del cavaliere era senza dubbio la spada. Molte volte era un'eredità trasmessa di generazione in generazione, e in battaglia significava avere la vita nelle proprie mani. Fino alla fine del 1200 la tipica spada da combattimento era a lama larga e a doppio taglio. Con il diffondersi delle armature a piastre si crearono spade più lunghe e sottili adatte a colpire di punta in modo tale da infilarsi nei piccoli e sottili spazi presenti tra una piastra e l'altra. Avendo la lama più lunga, e diventando quindi la spada più pesante, il cavaliere fu costretto a tenerla con due mani. Queste erano dette spade a una mano e mezza o bastarde. Di solito la spada presentava una scanalatura sulla parte centrale della lama che la rendeva leggera e più resistente. Verso la seconda metà del trecento la spada non presentava più la scanalatura centrale ma aveva una più efficiente lama a sezione romboidale, molto più rigida e quindi più efficace nello scaricare la forza del colpo. Esisteva anche la spada a due mani che era la esatta versione ingrandita della spada normale. Grazie al suo peso e al suo sistema di impugnatura poteva arrecare colpi di immensa forza. Lo spadone a due mani divenne noto a partire dal 1200: spesso il cavaliere la portava appesa alla sella in aggiunta alla spada normale. Per chi era ben esercitato le spade erano facili da gestire o da brandire perché ben bilanciate. Infatti il peso totale dell'elsa, del pomo e dell'impugnatura era equivalente al peso della lama. In genere la spada era completa di fodero in legno, ricoperto spesso di pelle. La punta aguzza delle spade poteva spezzare senza difficoltà la cotta di maglia e quindi provocare ferite profonde, a volte anche mortali. Gli uomini più importanti possedevano parecchi tipi di spade: ad una mano per colpire di taglio, spade lunghe a due mani per colpire in profondità, armi di eccellente fattura da esibire a dimostrazione di gusto personale e ricchezza.
La spada rimanda alla forza, al potere che la Giustizia deve avere per imporre e far rispettare i propri giudizi (la Giustizia o più direttamente, per esempio in tante immagini tratte da libri di emblemi, il re).
Si tratta in genere di una spada a doppio taglio (cfr. Le armi simboliche in Guénon, Simboli, p. 160-161).
Sarà spesso impugnata rivolta verso l'alto, o appoggiata a una spalla; altre volte invece rivolta in basso o appoggiata a terra. Le diverse disposizioni contribuiscono in genere a definire una determinata immagine e "situazione" della Giustizia.
Un'illustrazione dell'Hypnerotamachia Poliphili mostra nel modo più chiaro come la simmetria caratterizzi entrambi gli attributi della Giustizia, con uno specifico significato assiale della spada e con un rinvio implicito alla croce.
LE ARMI BIANCHE : STORIA E CURIOSITA’
Argomenti: Guerre, militari
Chi fu il primo che inventò le spaventose armi
da quel momento furono stragi, guerre... si aprì
la via più breve alla crudele morte
tuttavia il misero non ne ha colpa! Siamo noi che
usiamo malamente quel che Egli ci diede per difenderci
dalle feroci belve!”
Si aprì con una citazione di Tibullo il film di Ermanno Olmi (di qualche anno fa: “Il mestiere delle armi”), tradotta in un corpulento italiano cinquecentesco e recitata da una voce fuori campo (Pietro Aretino) mentre la telecamera del regista indugiava sul capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere. Memorabile la scena iniziale del combattimento quando, in un clangore metallico, la lunga fila di lance è pronta alla battaglia. Il film, ovviamente, è un piccolo pretesto per scoprire l’origine dell’uso dell’arma nella storia dell’uomo. Come recitava l’antico brocardo latino “homo homini lupus”, connaturata all’umana natura c’è sempre stata una parte spiccata che ha rivendicato la difesa dalle avversità e dai pericoli esterni. Ogni uomo ha vissuto e forse continua ancor oggi a vivere con l’angoscia di un vero e proprio assalto mortale che possa sorprenderlo e farne di lui macerie. Ab incipit, quindi, oltre che per procacciarsi cibo, ha utilizzato mezzi c.d. violenti per la propria sopravvivenza. E l’utilizzo di oggetti più o meno puntuti segna l’inizio della difesa del suo habitat.
Ma, uomo primitivo a parte, e compiendo un notevole passo temporale, si nota come gran parte dei sistemi di combattimento con la spada dell’Alto Medioevo risale agli usi delle tribù germaniche che invasero l’Europa. A partire dal V secolo d.C. Goti, Longobardi, Franchi, essendo abili nel maneggio di lunghe spade da usarsi in coppia con lo scudo, diffusero anche in Europa l’uso del duello come sistema per dirimere le questioni d’onore od invocare il giudizio di Dio.
Lo sviluppo delle tecniche di combattimento a cavallo, poi, favorirono l’ascesa dell’uomo armato. Dedicando la sua vita unicamente al combattimento il cavaliere si specializzò in tutti gli scontri con ogni tipo di arma (a piedi ma soprattutto a cavallo). Feroci tornei a cavallo con morti e feriti caratterizzano, insieme alle cacce, il passatempo preferito del signore medievale fino al secolo XIII e gli inizi del XIV. Dalla metà del Trecento l’uso più frequente della spada a due mani determinò l’inizio di una prima forma di scherma vera e propria.
La scherma dei sec. XIV - XV anche se assai tecnica risulta ancora basata prevalentemente sulla potenza. Va però precisato che la spada nacque come diretta evoluzione del ben più antico pugnale (di cui noi abbiamo i primi rudimentali esemplari, in selce, già in età preistorica) verso la fine del II millennio a.C., all’epoca della civiltà egeo-micenea. Si trattava di spade molto sottili, dalla lunghezza ragguardevole (fino ad un metro di lama) e che già all’epoca tendevano ad essere abbellite mediante ricchi ornamenti e cesellature. Ovviamente tanto la lama quanto l’elsa erano in bronzo.
A partire dal Mediterraneo Orientale la spada si diffuse in breve tempo in tutta Europa. E, attorno all’VIII-VII secolo a.C. vennero introdotte dai Celti, in Illiria e Borgogna, le prime spade di ferro. Proprio i Celti, ed in particolare quelli della civiltà di La Tèène, utilizzavano un particolare tipo di spada, abbastanza lunga e spuntata, che andava usata unicamente di taglio. Gli opliti greci erano invece soliti impugnare spade corte a doppio taglio. Proprio dall’evoluzione di queste venne introdotta a Roma, dopo la battaglia di Canne, quella corta spada usata sia di taglio che di punta che era il “gladius”, in dotazione della fanteria, mentre i cavalieri utilizzavano le “spathae” , assai più lunghe.
Con le invasioni barbariche e per tutto il Medioevo l’uso della spada ebbe ancora una maggiore diffusione, a causa del significato sempre più mistico e magico che veniva conferito all’arma, derivante ad esempio dalla pratica di conservare reliquie sacre sul pomo e dalla forma a croce che iniziò ad assumere in quell’epoca l’impugnatura. Per questi motivi l’arma era usata, come già prima evidenziato, nella singolar tenzone per conferire il “giudizio di Dio”.
Nei miti dei popoli germanici abbondavano riferimenti sulla natura magica od ultraterrena della spada : ad esempio, nel corpus di leggende sassoni, all’interno del più importante poema epico, Beowulf, veniva menzionata un’antica spada famosa per non aver mai fallito un colpo, di nome Hrunting, appartenuta ad un certo Unferd, mentre la spada di Beowulf si chiamava Nagling. Per quello che riguarda la “Chanson de geste” del ciclo carolingio, importantissima è, nella Chanson de Roland, la spada Durlindana : la tradizione vuole che la spada fosse stata donata al paladino da Carlo Magno che l’aveva ricevuta da un angelo con l’incarico di donarla al più valoroso tra i suoi comites palatini e sarebbe stata di un acciaio tanto temprato da rendere impossibile a Rolando di distruggerla in punto di morte per evitare di farla cadere nelle mani dei nemici infedele; la spada era custode, infatti, di sacre reliquie capaci di conferirle un potere divino poiché nel pomo si sarebbero trovati un dente di San Pietro, del sangue di San Basilio, capelli di monsignor Dionigi e persino un lembo di veste mariana.
Nelle opere di J.R.R.Tolkien (“Il signore degli anelli”ad esempio)sono menzionate un gran numero di spade, e la maggior parte di queste, come da tradizione nordica, ha un proprio nome e spesso riflette il carattere del suo possessore.
Ma spade, lame, coltelli, pugnali quali dinamiche lesive provocano su chi ne è rimasto o ne può rimanere vittima? Occorre spostare l’attenzione dal campo storico-narrativo ad un campo più propriamente tecnico che abbraccia l’ambito medico-legale,l’unico capace di evidenziare gli effetti contusivi o mortali di questo tipo di armi. In primis, va detto che tutte le lesioni da arma bianca rientrano nell’ambito delle lesioni da energia meccanica. Ma cos’è esattamente un’arma bianca ? Per arma bianca s’intende convenzionalmente qualsiasi strumento (eccetto le armi da sparo) la cui destinazione naturale è l’offesa della persona o sia comunque atto ad offendere, e di cui la legge vieti il porto (la definizione ricalca il concetto di arma contemplato nell’art.585c.p.). Si tratta, naturalmente, di un’accezione ampia che comprende anche l’azione di mezzi non specificatamente costruiti per l’offesa, come alcuni utensili domestici, fili metallici, lamiere, frammenti di vetro, occasionalmente adoperati a scopo vulnerabile. Le armi bianche agiscono attraverso meccanismi, singoli o variamente associati, di pressione e/o strisciamento. Pertanto, si producono lesioni di aspetto differente(da punta, da taglio, da punta e taglio) a seconda che lo strumento feritore agisca con un’estremità acuminata, il filo di una superficie tagliente, o entrambi i meccanismi tra loro combinati, come si verifica nei coltelli appuntiti. Rimanendo nell’ambito della medicina legale si distinguono taglienti tipici come i bisturi, i rasoi, le falci, le spade etc.. e taglienti atipici, che pur non essendo concepiti per l’azione tagliente, posseggono un’analoga capacità lesiva. Nelle lesioni da arma bianca prevale l’estensione in superficie anziché in profondità. E, se si volessero riassumere le forme tipiche delle ferite da taglio, le stesse possono classificarsi in quattri grandi gruppi:
- ferite da difesa (che sono indicative di omicidio e si producono nella vittima durante i tentativi di resistenza all’aggressione);
- ferite da svenamento (che sono indicative di suicidio e si rilevano in zone autoaggredibili come polsi o regioni inguinali);
- ferite da scannamento (così denominate in quanto poste in relazione alla recisione delle c.d. “canne del collo”quali laringe e trachea);
- ferite da sventramento (come nel harakiri in cui si determina a scopo suicida un largo squarcio della parete addominale con fuoriuscita di visceri).
Altre tipiche ferite da taglio possono avere carattere rituale e tra queste vanno sicuramente annoverate la circoncisione e la escissione del clitoride (infibulazione) dalla spiccata natura religiosa o tribale.
Iniziamo trattando uno dei più vasti argomenti dell’equipaggiamento di un combattente, e forse, anche uno dei più affascinanti.
Come per l'arco, le origini di quest'arma si perdono nella notte dei tempi tanto che Goffredo di Crollalanza nella sua celebre Enciclopedia Araldico - cavalleresca ne attribuisce l'invenzione a Tubal Kain figlio di Lamek e di Silla. Tubal Kain è un discendente di Caino ed è considerato dalla Genesi (4,17) come "il fabbro, padre di tutti i lavoratori del rame e del ferro".
Quest'arma è stata da sempre mitizzata nelle varie epoche storiche, si pensi alla spada di Re Artù "Excalibur" che deriva in particolare dai miti germanici, tanto da entrare nei riti più solenni, qual è quello, ad esempio, dell'incoronazione.
Spada detta di Carlomagno. Inizio secolo XIII.
Usata per molti secoli per l'incoronazione dei re di Francia.
La “spada nella roccia”
nell’eremo di Montesiepi.
nell’eremo di Montesiepi.
La spada soprannominata Durlindana (Secondo il mito la spada di Rolando)
trovata a Rocamadour, Francia.
trovata a Rocamadour, Francia.
Esempio di riproduzione di una spada bastarda.
Tornando alla storia dell'arma, diremo che compare nel periodo preistorico come derivazione del pugnale litico ossia di pietra e pertanto fu, in principio, corta, ma con l'avvento del bronzo giunse a superare i 90 cm. Cominciò come stocco, ossia come arma da colpi di punta; poi quando si rese evidente la possibilità di usare anche il taglio nacque la necessità del filo nonché quella di un rinforzo al punto d'unione fra la lama e l'impugnatura. Si cominciò ricavando in quest'ultima un alloggiamento per il tallone e, infine, si gettarono in un sol pezzo lama e codolo, dando a questo una modellatura tale da permettere il completamento dell'impugnatura stessa con placche in osso o legno o altro materiale, fermate da perni metallici detti rivetti.
L’arma si compone essenzialmente di due parti, suddivise a loro volta in altre:
“Suddivisione di una spada”
dal Flos duellatorum (Fiore dei liberi).
dal Flos duellatorum (Fiore dei liberi).
Sotto: Diversi esempi di impugnatura in uso negli anni.
L’impugnatura: Questa parte della spada è quella adibita alla protezione e alla presa della spada; è divisa in elsa, manico e pomolo.Elsa: Questo nome va attribuito alla barra trasversale che divide, l’impugnatura dalla lama, e che si è venuta progressivamente arricchendo nei secoli di archetti e di arresti, di ponti, rami e anelli, i quali permettono l'ingaggio della lama avversa e, soprattutto, la protezione della mano.
Manico: è la parte dell’impugnatura sulla quale poggerà la mano dominante delle schermitore; era spesso costituita da un’anima in legno rivestita di pelle, ma sono stati ritrovati esemplari composti da osso o ferro stesso.
Pomolo: è la parte terminale della spada, serve principalmente a bilanciarne il peso, tuttavia è estremamente versatile in quanto permette una discreta presa nel caso si impugni una spada (ad esempio una spada a una mano e mezza) con entrambe le mani; permette inoltre di infliggere pesanti colpi alle zone scoperte del nemico se l’avversario è molto vicino o, insieme all’elsa, di impugnare la spada al contrario e agitarla come una pesante mazza.
La lama: Essenzialmente divisa in due, codolo e lama vera e propria è la parte della spada meglio destinata a infliggere e parare colpi.
Codolo: è la parte finale della lama, molto ristretta serve ad ospitare elsa, manico e pomolo. Rimane qualche cm oltre tale misura in modo da venire poi battuta e ripiegata per rendere l’impugnatura stabile.
La lama: è la parte dell’arma esposta dopo l’impugnatura. Non è tutta affilata come si pensa, anzi; è idealmente divisa, partendo dall’impugnatura, in forte (parte utilizzata prevalentemente per le parate), medio (parte dedicata si alle parate ma anche ai giochi schermistici come prese, botte di ferro, ecc.) e debole. Solo quest’ultima parte è affilata e è dedicata al ferire l’avversario o a penetrare nelle sue difese.
Sarebbe sciocco pensare di incorporare in un trattato tutte le varianti di spada esistite in un secolo di storia, tuttavia possiamo provare a riassumerne alcune.
Codolo: è la parte finale della lama, molto ristretta serve ad ospitare elsa, manico e pomolo. Rimane qualche cm oltre tale misura in modo da venire poi battuta e ripiegata per rendere l’impugnatura stabile.
La lama: è la parte dell’arma esposta dopo l’impugnatura. Non è tutta affilata come si pensa, anzi; è idealmente divisa, partendo dall’impugnatura, in forte (parte utilizzata prevalentemente per le parate), medio (parte dedicata si alle parate ma anche ai giochi schermistici come prese, botte di ferro, ecc.) e debole. Solo quest’ultima parte è affilata e è dedicata al ferire l’avversario o a penetrare nelle sue difese.
Sarebbe sciocco pensare di incorporare in un trattato tutte le varianti di spada esistite in un secolo di storia, tuttavia possiamo provare a riassumerne alcune.
A) Sciabola
B) Scimitarra
C) Spada ad una mano
D) Spada a lama larga
E) Spada a punta o stocco
F) Spada lunga
G) Spada a una mano e mezza o bastarda
H) Spadone a due mani
B) Scimitarra
C) Spada ad una mano
D) Spada a lama larga
E) Spada a punta o stocco
F) Spada lunga
G) Spada a una mano e mezza o bastarda
H) Spadone a due mani
IL FALCIONE
Molto simile ad una spada quest’arma merita un discorso a parte.
Si presume che quest’arma sia nata da umili origini, molto probabilmente si trattava di un attrezzo agricolo utilizzato prima del 1200 riadattato poi come arma.
Questa “spada” possiede un unico filo, ed è particolarmente adatta a assestare potenti colpi di filo dritto.
L'arma assembla il peso e la potenza di un'ascia con la versatilità di una spada.
Il falcione si trova in diverse forme dall'undicesimo secolo fino al sedicesimo. In alcune forme il falcione può assomigliare ad una sciabola. In alcune rappresentazioni questo è molto simile ad un machete munito di guardia o paramano.
Si presume che quest’arma sia nata da umili origini, molto probabilmente si trattava di un attrezzo agricolo utilizzato prima del 1200 riadattato poi come arma.
Questa “spada” possiede un unico filo, ed è particolarmente adatta a assestare potenti colpi di filo dritto.
L'arma assembla il peso e la potenza di un'ascia con la versatilità di una spada.
Il falcione si trova in diverse forme dall'undicesimo secolo fino al sedicesimo. In alcune forme il falcione può assomigliare ad una sciabola. In alcune rappresentazioni questo è molto simile ad un machete munito di guardia o paramano.
Affresco
Chamber in Westminster Cathedral 13° sec.
(Distrutto da un incendio nel 19° sec)
Chamber in Westminster Cathedral 13° sec.
(Distrutto da un incendio nel 19° sec)
La lama concentra molto peso alla sua fine, cosa che rende l'arma più adatta al taglio come una mannaia.
Alcuni esemplari di quest’arma sono sopravvissuti nei secoli e mostrano che il falcione era grossomodo lungo dai 75 ai 99 Cm con una guardia in proporzione di 10-15 Cm e un peso variabile da 1,4 a 2 Kg.
Il primo è un falcione diffuso nella Norvegia attorno alla metà del XIV secolo,
mentre il secondo si trova al British Museum ed è stato ritrovato a Hamburg.
mentre il secondo si trova al British Museum ed è stato ritrovato a Hamburg.
Riproduzioni di falcioni di bassa fattura molto probabilmente in uso tra i contadini chiamati alle armi.
In alto una riproduzione di una spada-falcione del 1300 mentre in basso un’immagine tratta da un’edizione del Romance du Alexandre, la versione conservata alla Bodleyan Library nella quale si possono vedere due falcioni, una spada e a terra un falcione dalla chiara forma a sciabola.
L’immagine qui di seguito può risultare molto fantasy come connubio di elsa-lama, tuttavia da un esame più accurato (comparato con una tavola del 1380) mostra come non sia altro che l’unione di una lama da falcione norvegese unita ad un’elsa discretamente in voga nei falcioni già dalla metà del 1300.
L’immagine a sinistra è presa da un blog in rete, quella a destra, cito testualmente: “1380-1385 - 'Třeboň-altarpiece, resurrection' (Master of the Třeboň-altarpiece), Praha, Klášter sv. Anežky České, Praha, Czech Republic”
L’ASCIA (Scure)
Un nome improprio per definire uno strumento usato fin dall’antichità.
La scure, questo il termine corretto,fu uno strumento, spesso di origine contadina, usato perfino ai tempi degli egizi, greci, babilonesi e da tutte le culture del mondo come arma da battaglia.
La scure, questo il termine corretto,fu uno strumento, spesso di origine contadina, usato perfino ai tempi degli egizi, greci, babilonesi e da tutte le culture del mondo come arma da battaglia.
Questo oggetto è tra quelli che meno ha subito evoluzione nel corso degli anni, rimanendo per lo più immutato nei secoli. L’unica grande evoluzione si ha quando venne allungato il manico fino a trasformarlo prima nel mazzapicchio e poi nelle varie differenziazioni di alabarda.
Esistono nel medioevo due tipi fondamentali di scure. Quelle di tipo corto, a lama a mezzaluna, che si usano con una sola mano (tra cui la francesca, ascia da lancio dei Franchi) e quelle lunghe, come quella danese a due mani, con lama che termina verso l’alto a punta, quindi permette l’uso anche di punta. L’ascia a due mani era, a detta delle cronache del tempo, capace nelle mani di un valido huskarl di spaccare con un sol colpo cavallo e cavaliere, come impararono a loro spese i Normanni ad Hastings (1066).
Da notare che seppur minime le varianti della scure aggiunsero nuovi possibili colpi dopo la metà del 1300, quando in battaglia era ormai frequente trovare un cavaliere o un fante corazzato con piastre di metallo.
Un Huscarl sul “Bayeux Tapestry”con in mano un ascia danese e la relativa riproduzione.
Replica di una Francesca
Un Huscarl sul “Bayeux Tapestry”con in mano un ascia danese e la relativa riproduzione.
Replica di una Francesca
Infatti, sebbene all’inizio fossero oggetti più simili alle scure contadine, vennero dapprima rovesciate le teste delle scuri per infliggere maggiori danni a un bersaglio alto e per sfruttare , seppur minimamente, i colpi di punta, e poi modificate le forme e allungati i manici, in modo da avere una superficie minore di impatto ( come nel caso dell’ascia danese) o aggiunte punte in testa e sul retro della lama per essere usate come martelli d’arme o piccole picche.
Riproduzioni di scuri da guerra e evoluzione
Riproduzioni di scuri da guerra e evoluzione
Da qui in poi infatti si iniziano a vedere le prime vere e proprie scuri d’arme che saranno la vera evoluzione di quest’oggetto, usato presino ai giorni nostri dalle truppe americane. Inoltre fu proprio l’idea di allungare di molto il manico a mostrare le prime avvisaglie di alabarde svizzere.
Una sorta di mito è la famosa ascia bipenne; la quale non fa assolutamente parte del panorama delle armi medievali.
Anzi, storicamente l’unica ascia bipenne accertata è la labrys cretese, e stiamo parlando del XVI – XV secolo a.C. e il’uso in effetti sarebbe attestato come prettamente cerimoniale.
Per quanto sia possibile che armi a due lame siano esistite e siano state portate in guerra, il loro uso sarebbe stato aimè meglio adatto a un uso contadino, lavorativo o cerimoniale, visto che aumentando il peso e raddoppiando la superficie di taglio si aumenta considerevolmente la forza del colpo (utile però esclusivamente con un lento movimento a tirare giù un albero) e si dimezza l’usura dell’oggetto(ottimo per non dover affilare la scure troppo spesso). Difficile sarebbe stato muoversi per un campo di battaglia con un oggetto pesante il doppio, molto lento e l’occupare lo spazio di una seconda penna con qualcosa di diverso da una punta o un uncino si sarebbe rivelato controproducente.
Molto interessante è il fatto che la scure rientri nella dotazione standard dei templari infatti, secondo il loro Codice, loro e tutti gli ordini militari ne fecero ampio uso durante le crociate e nel periodo subito seguente.
Riproduzione di una testa di scure dalla bibbia Majceikovsky
Anzi, storicamente l’unica ascia bipenne accertata è la labrys cretese, e stiamo parlando del XVI – XV secolo a.C. e il’uso in effetti sarebbe attestato come prettamente cerimoniale.
Per quanto sia possibile che armi a due lame siano esistite e siano state portate in guerra, il loro uso sarebbe stato aimè meglio adatto a un uso contadino, lavorativo o cerimoniale, visto che aumentando il peso e raddoppiando la superficie di taglio si aumenta considerevolmente la forza del colpo (utile però esclusivamente con un lento movimento a tirare giù un albero) e si dimezza l’usura dell’oggetto(ottimo per non dover affilare la scure troppo spesso). Difficile sarebbe stato muoversi per un campo di battaglia con un oggetto pesante il doppio, molto lento e l’occupare lo spazio di una seconda penna con qualcosa di diverso da una punta o un uncino si sarebbe rivelato controproducente.
Molto interessante è il fatto che la scure rientri nella dotazione standard dei templari infatti, secondo il loro Codice, loro e tutti gli ordini militari ne fecero ampio uso durante le crociate e nel periodo subito seguente.
Riproduzione di una testa di scure dalla bibbia Majceikovsky
Immagine a sinistra presa dal sito d’aste “hermann-historica munich” di un set di scuri del 1300 ora vendute a un privato. Da notare il particolare di come anche al tempo fissavano la testa della scure.
MAZZE
Le mazze si dividono essenzialmente in tre gruppi, quelle a forma di un grande martello, chiamate martelli d’arme, quelle con una grande palla come parte terminale e quelle che uniscono la palla di ferro terminale con una catena al legno denominate mazzafrusti.
Di mazze ne esistono diverse; lamellari (tipiche del medio oriente, e utilizzate dai crociati), di semplici e di borchiate. La mazza tipica è un’arma che trova le sue origini agli albori dell’umanità. Consiste in una testa di ferro o legno duro montata su un manico di legno e sovente di metallo. L’elaborazione della mazza ferrata letteralmente esplode nel XIV e XV secolo d.C., quando le mazze, i martelli da guerra e i flagelli diventano le tipiche armi contro le pesanti armature e scudi dei cavalieri nobili.
Morning star, dal museo della tortura di Friburgo, sotto vari esempi di mazze d’arme.
A sinistra un martello d’arme a becco di corvo, a destra vari tipi di martelli d’arme.
A sinistra clave e mazze rudimentali in legno o in legno e ferro mentre a destra una mazza da trincea della 2° Guerra Mondiale
La mazza non richiede molto addestramento, ma è un’arma dalla grande inerzia, che può lasciare scoperti se il primo colpo non va a segno ma che si presenta praticamente fatale in caso l’attaccato non riesca a parare o schivare il colpo.
La mazza è un arma che fu usata fino alla seconda guerra mondiale (chiamata mazza da trincea) e è una delle armi che più ha accompagnato l’umanità fin dai tempi più remoti; è dimostrato infatti che l’essere umano sotto stress eccessivo, quando deve lottare per la sopravvivenza, inizia difendersi con il movimento che trova istintivamente più elementare, esso altro non è che un colpo dall’alto verso il basso con la mano posta come se impugnasse una mazza.
In effetti è proprio questo il motivo che spinge le migliori scuole di combattimento armato a insegnare ad utilizzare in condizioni di pericolo coltelli e oggetti acuminati con la punta rivolta verso il basso(impugnati a martello).
Se la mazza altro non è che l’evoluzione della preistorica clava, è’ proprio durante il medio evo che i trebbi usati per battere il grano vengono trasformati in vere e proprie armi.
Molto interessate è da notare l’evoluzione di questo oggetto
Il trebbio è uno strumento formato da due bastoni (uno lungo come un uomo e uno lungo circa la metà) uniti da una catena o fitto cordame, che durante le guerre contadine si è evoluto come arma, dapprima innestando chiodi e rinforzi sulla parte più corta, poi invece sostituendola con una o più palle di metallo chiodate, le quali ruotando generavano un immenso potere d’impatto.
È interessante notare come nell’immaginario collettivo questo strumento sia entrato come molto più corto, tuttavia c’è una spiegazione.
Molto interessate è da notare l’evoluzione di questo oggetto
Il trebbio è uno strumento formato da due bastoni (uno lungo come un uomo e uno lungo circa la metà) uniti da una catena o fitto cordame, che durante le guerre contadine si è evoluto come arma, dapprima innestando chiodi e rinforzi sulla parte più corta, poi invece sostituendola con una o più palle di metallo chiodate, le quali ruotando generavano un immenso potere d’impatto.
È interessante notare come nell’immaginario collettivo questo strumento sia entrato come molto più corto, tuttavia c’è una spiegazione.
Il mazzafrusto sopra spiegato fu famoso durante le battaglie, ma fu usato prevalentemente dalle classi meno ricche, e necessitava inoltre di un notevole spazio per essere maneggiato, per questo motivo era adatto ai ranghi di fanteria.
Inoltre essendo costruito per gran parte in legno e usato solo in battaglia (e probabilmente ritrasformato in attrezzo agricolo al termine di quest’ultima per limitare l’usura del ferro, materiale certo più costoso del legno) nei secoli i ritrovamenti sono strati davvero minimi.
Il mazzafrusto che oggi meglio si ricorda fu quello da cavaliere; spesso formato da una sola palla legata ed una catena era molto più corto, e si poteva impugnare ad una mano o legare alla sella del cavallo in modo che la cavalcata stessa lo facesse roteare con ovvi vantaggi. Ovviamente essendo uno strumento da cavaliere, e perciò da nobile, i ritrovamenti sono stati più comuni per questo oggetto che è stato conservato più facilmente in castelli e residenze.
Inoltre essendo costruito per gran parte in legno e usato solo in battaglia (e probabilmente ritrasformato in attrezzo agricolo al termine di quest’ultima per limitare l’usura del ferro, materiale certo più costoso del legno) nei secoli i ritrovamenti sono strati davvero minimi.
Il mazzafrusto che oggi meglio si ricorda fu quello da cavaliere; spesso formato da una sola palla legata ed una catena era molto più corto, e si poteva impugnare ad una mano o legare alla sella del cavallo in modo che la cavalcata stessa lo facesse roteare con ovvi vantaggi. Ovviamente essendo uno strumento da cavaliere, e perciò da nobile, i ritrovamenti sono stati più comuni per questo oggetto che è stato conservato più facilmente in castelli e residenze.
Molto curioso è notare come in epoche simili ma luoghi diversi questo strumento abbia avuto diverse evoluzioni; se in Europa si è evoluto come oggetto da sfondamento per abbattere armature in Cina si è evoluto creando il famoso nunchaku, non essendo in effetti necessario sfondare armature ma prediligendo la velocità e la forza cinetica conseguente.
ARMI AD ASTA
Elencare tutte le varianti di armi ad asta in uso durante il medioevo sarebbe un lavoro immenso, in ogni caso possiamo provare a dividere le armi ad asta in tre diverse categorie: le armi ad asta atte a tagliare, quelle atte a perforare e spaccare e quelle che solitamente venivano impiegate per il lancio.
La picca è senza dubbio la miglior rappresentazione di arma atta a perforare, è famosa specie per i ranghi di picchieri che, usando questt’arma, si opponevano coraggiosamente alle cariche di cavalleria letteralmente impalando cavallo e cavalaliere in carica. Di simile uso è lo spiedo lanzichenecco, evoluto dalla pala da porci italiana, usata in modo similare ai picchieri tuttavia per un uso diverso, la caccia al cinghiale. Lo spiedo da caccia o il buttafuoco sono varianti di quest’arma.
Sopra una falange di picchieri e sotto uno dei modi di usare la picca in battaglia(non per resistere ad una carica, in quel caso il fondo della picca va piantato a terra)
Elencare tutte le varianti di armi ad asta in uso durante il medioevo sarebbe un lavoro immenso, in ogni caso possiamo provare a dividere le armi ad asta in tre diverse categorie: le armi ad asta atte a tagliare, quelle atte a perforare e spaccare e quelle che solitamente venivano impiegate per il lancio.
La picca è senza dubbio la miglior rappresentazione di arma atta a perforare, è famosa specie per i ranghi di picchieri che, usando questt’arma, si opponevano coraggiosamente alle cariche di cavalleria letteralmente impalando cavallo e cavalaliere in carica. Di simile uso è lo spiedo lanzichenecco, evoluto dalla pala da porci italiana, usata in modo similare ai picchieri tuttavia per un uso diverso, la caccia al cinghiale. Lo spiedo da caccia o il buttafuoco sono varianti di quest’arma.
Sopra una falange di picchieri e sotto uno dei modi di usare la picca in battaglia(non per resistere ad una carica, in quel caso il fondo della picca va piantato a terra)
L’alabarda è forse la miglior rappresentazione di un arma innestata da taglio. In principio conisteva fondamentalmente in una scure innestata su di un palo molto lungo (circa 2-3 metri).
Nell’immagine seguente si vedono le varie evoluzioni dell’alabarda e conseguentemente del falcione o roncone, ovvero l’innesto di una punta in apice e di un uncino nella parte posteriore per disarcionare il cavaliere.
Nell’immagine seguente si vedono le varie evoluzioni dell’alabarda e conseguentemente del falcione o roncone, ovvero l’innesto di una punta in apice e di un uncino nella parte posteriore per disarcionare il cavaliere.
Il falcione innestato invece è un’arma che si è sviluppata verso la fine del XIV secolo e se allungare il manico di una scure portò dapprima al mazzapicchio e poi all’alabarda, allungare il manico di un falcione contadino portò essenzialmente alla creazione del falcione innestato e del roncone.
1) Spiedo dei lanzichenecchi; 2) Picca;
3) Lancia; 4 ) Spiedo da caccia;
5) Buttafuoco; 6) Falcione;
7) Partigiana; 8) Alabarda;
9) Alabarda; 10) Roncone;
11) Mazzapicchio; 12) Berdica.
Fonte “earmi.it”
3) Lancia; 4 ) Spiedo da caccia;
5) Buttafuoco; 6) Falcione;
7) Partigiana; 8) Alabarda;
9) Alabarda; 10) Roncone;
11) Mazzapicchio; 12) Berdica.
Fonte “earmi.it”
Il mazzapicchio e l’azza italiana sono a loro volta esempi di manici allungati della scure d’arme e del martello d’arme il cui uso è pressochè identico, tuttavia l’utilizzatore è avvantaggiato da una notevole distanza dall’avversario e dal lungo manico che permette di infliggere colpi con una maggiore forza cinetica.
A) Mazzapicchio alla scocca (degli Usococchi, truppe levantine di Venezia);
B) Mazzapicchio alla veneta;
C) Mazzapicchio alla tedesca;
B) Mazzapicchio alla veneta;
C) Mazzapicchio alla tedesca;
D) Azza;
E) Azza da cavallo;
F) Luzernerhammer.
E) Azza da cavallo;
F) Luzernerhammer.
(Ill. De Vita) da “Earmi.it”
Il giavellotto è un tipo di arma in asta usata come arma da lancio. Formato da un'asta munita di una punta di metallo, è utilizzato sin dai tempi più antichi per la caccia ed in combattimento. In epoca medievale un evoluzione di questa arma era chiamata Angone.
La lancia fu un’altra arma usata dai tempi più remoti per combattere come una picca o meglio ancora per essere lanciata a corta distanza, almeno corta per un arma da lancio.
Lancia fu il nome impropriamente dato anche allo strumento che i cavalieri utilizzavano durante i tornei per gioco, chiamandola lancia da cavalleria.
La lancia fu un’altra arma usata dai tempi più remoti per combattere come una picca o meglio ancora per essere lanciata a corta distanza, almeno corta per un arma da lancio.
Lancia fu il nome impropriamente dato anche allo strumento che i cavalieri utilizzavano durante i tornei per gioco, chiamandola lancia da cavalleria.
Nell’immagine che segue:
A-D,H) Ferro di lancia da guerra;
E) Lancia da guerra;
F-G) rocchio per lancia da torneo (cortese);
I) Lancia cortese;
L) Impugnatura lancia da carosello (cortese);
M) Lanciola;
N) Lancia alla moderna.
A-D,H) Ferro di lancia da guerra;
E) Lancia da guerra;
F-G) rocchio per lancia da torneo (cortese);
I) Lancia cortese;
L) Impugnatura lancia da carosello (cortese);
M) Lanciola;
N) Lancia alla moderna.
DAGA
La daga è una spada corta a lama larga e diritta che soprattutto nel XIX secolo armava numerosi corpi armati, come le guardie civiche.
In origine fu importata da popolazioni barbare e adottata dalle legioni romane in quanto comoda, maneggevole e molto robusta, caratteristiche che la rendevano adatta a combattimenti ravvicinati. La forma triangolare della lama e la sua larghezza la rendevano robusta e difficile da deformare così da poter essere utilizzata per bucare le corazze dei nemici; tali caratteristiche comuni ad altre lame romane inducono a classificare la daga tra le armi da punta piuttosto che tra quelle da taglio propriamente dette.
Molto usata per tutto il medioevo presentava una lama a V lunga circa 35 cm. Tipici esempi sono la daga a rognoni o la daga a rondelle. Questa particolare daga veniva usata anche in duelli tra il 1400 e il 1600, con le particolari tecniche di combattimento descritte da Fiore dei Liberi, Achille Marozzo, Antonio Manciolino e altri.
Successivamente assunse una forma più classica, con lama piatta e stretta, utilizzata da sola, accompagnata dalla cappa o come mano-sinistra
Daga Svizzera
La daga è una spada corta a lama larga e diritta che soprattutto nel XIX secolo armava numerosi corpi armati, come le guardie civiche.
In origine fu importata da popolazioni barbare e adottata dalle legioni romane in quanto comoda, maneggevole e molto robusta, caratteristiche che la rendevano adatta a combattimenti ravvicinati. La forma triangolare della lama e la sua larghezza la rendevano robusta e difficile da deformare così da poter essere utilizzata per bucare le corazze dei nemici; tali caratteristiche comuni ad altre lame romane inducono a classificare la daga tra le armi da punta piuttosto che tra quelle da taglio propriamente dette.
Molto usata per tutto il medioevo presentava una lama a V lunga circa 35 cm. Tipici esempi sono la daga a rognoni o la daga a rondelle. Questa particolare daga veniva usata anche in duelli tra il 1400 e il 1600, con le particolari tecniche di combattimento descritte da Fiore dei Liberi, Achille Marozzo, Antonio Manciolino e altri.
Successivamente assunse una forma più classica, con lama piatta e stretta, utilizzata da sola, accompagnata dalla cappa o come mano-sinistra
Daga Svizzera
Pugnale o corta spada da usare con la mano sinistra nei duelli. A) Pugnale da duello con lame a seste; B) Pugnale a seste; C) Daghetta da duello con lama a pettine; D) Pugnale con lama a seste; E) ed F) Daghetta d’accompagno con vela riccamente decorata; G) ed H) Daghetta da duello. (Ill. De Vita)
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Sopra una daga a rognoni, sotto una daga a rondelle
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Sopra una daga a rognoni, sotto una daga a rondelle
Immagini di affreschi raffiguranti una basilarda
Riproduzione di una basilarda
ARCO
L'arco è uno strumento da lancio costituito da un elemento flessibile le cui estremità sono collegate da una corda tesa che ha la funzione di imprimere il movimento del proiettile chiamato freccia. Utilizzato come arma da caccia e da battaglia soprattutto nell'antichità, oggi viene utilizzato principalmente come attrezzo sportivo nella pratica del Tiro con l'arco.
L'azione dell'arco avviene come segue:
• La freccia viene assicurata alla corda grazie ad un elemento apposito (la cocca, che tuttavia lascerà la freccia stessa libera di sganciarsi al momento del rilascio) è appoggiata all'arco all'incirca nel suo punto mediano.
• La corda viene allontanata dall'arco per quanto lo consente la lunghezza della freccia. In questo momento si imprime alla corda la forza necessaria a far compiere alle parti flessibili dell'arco una deformazione elastica, immagazzinando quindi energia potenziale.
• La corda viene rilasciata permettendo all'arco di riprendere la forma originale riportandola violentemente verso l'arco stesso. L'energia è ora trasferita alla freccia imprimendole un moto rettilineo, a parte una certa dissipazione che si nota soprattutto nelle vibrazioni susseguenti, che percorrono tutto l'arco e la corda.
Gli archi moderni sono costituiti dai seguenti elementi:
• 2 flettenti o limb che rappresentano la parte flessibile ed elastica.
• 2 tips (parte terminale dei flettenti) su cui viene inserito l'anello della corda
• la corda, costituita da una serie di fili o stoppini (tipicamente 12-18) attorcigliati a partire dalle estremità in modo da assicurare robustezza ed elasticità
• 1 riser o parte centrale, tipicamente rigida, che unisce i flettenti.
Sul riser troviamo:
• l'impugnatura o grip.
• il poggiafreccia o rest.
• sui ricurvi moderni il bottone, ossia un sorta di frizione che compensa quello che è comunemente chiamato "paradosso dell'arciere", ovvero l'influenza sul volo della freccia del rilascio manuale.
ARCO
L'arco è uno strumento da lancio costituito da un elemento flessibile le cui estremità sono collegate da una corda tesa che ha la funzione di imprimere il movimento del proiettile chiamato freccia. Utilizzato come arma da caccia e da battaglia soprattutto nell'antichità, oggi viene utilizzato principalmente come attrezzo sportivo nella pratica del Tiro con l'arco.
L'azione dell'arco avviene come segue:
• La freccia viene assicurata alla corda grazie ad un elemento apposito (la cocca, che tuttavia lascerà la freccia stessa libera di sganciarsi al momento del rilascio) è appoggiata all'arco all'incirca nel suo punto mediano.
• La corda viene allontanata dall'arco per quanto lo consente la lunghezza della freccia. In questo momento si imprime alla corda la forza necessaria a far compiere alle parti flessibili dell'arco una deformazione elastica, immagazzinando quindi energia potenziale.
• La corda viene rilasciata permettendo all'arco di riprendere la forma originale riportandola violentemente verso l'arco stesso. L'energia è ora trasferita alla freccia imprimendole un moto rettilineo, a parte una certa dissipazione che si nota soprattutto nelle vibrazioni susseguenti, che percorrono tutto l'arco e la corda.
Gli archi moderni sono costituiti dai seguenti elementi:
• 2 flettenti o limb che rappresentano la parte flessibile ed elastica.
• 2 tips (parte terminale dei flettenti) su cui viene inserito l'anello della corda
• la corda, costituita da una serie di fili o stoppini (tipicamente 12-18) attorcigliati a partire dalle estremità in modo da assicurare robustezza ed elasticità
• 1 riser o parte centrale, tipicamente rigida, che unisce i flettenti.
Sul riser troviamo:
• l'impugnatura o grip.
• il poggiafreccia o rest.
• sui ricurvi moderni il bottone, ossia un sorta di frizione che compensa quello che è comunemente chiamato "paradosso dell'arciere", ovvero l'influenza sul volo della freccia del rilascio manuale.
Gli archi si possono distinguere in queste categorie in base alla forma e al particolare tipo di funzionamento che li costituiscono:
• Longbow o arco lungo: arco gallese (quello di Robin Hood) ha flettenti stretti e molto lunghi, il riser costituisce la sola impugnatura con un piccola finestra.
• Arco ricurvo: il riser è lungo circa 1/3 di tutta la lunghezza dell'arco, i flettenti sono più corti rispetto a quelli del longbow ma sono più larghi. Il profilo dei flettenti con cotrocurvatura garantisce un rendimento maggiore rispetto ad un arco lungo di pari libbraggio.Nei ricurvi moderni i flettenti sono spesso smontabili (arco take down). La maggior massa del riser conferisce maggiore stabilita' durante la fase di rilascio e quindi maggior precisione . Dall'arco ricurvo sono derivati i moderni archi "olimpici" per il tiro alla targa (cerchi concentrici)
• Arco composito: diffusissimo in oriente, ha un'impugnatura corta come il longbow con cui condivide anche la sezione dei flettenti, si differenzia dal fatto che questi ultimi sono composti di corno, ed i limb sono di legno e rigidi, il tutto ricoperto da tendine animale. Inoltre ha una forma tale che permette di caricare i flettenti notevolmente rispetto agli archi di legno.
• Arco compound: è caratterizzato dal fatto che sfrutta il principio dei flettenti semirigidi utilizzando il sistema di leve ad eccentrici (cams in Inglese).
Sopra rispettivamente un arco lungo e un arco composito
Tra i materiali utilizzati dall'antichità ai giorni nostri troviamo il famoso legno di tasso (utilizzato soprattutto in Europa), in tempi più recenti materiali metallici (alluminio forgiato/fresato) e sintetici/polimerici tra cui fibra di vetro e fibra di carbonio.
Anche le corde hanno subito miglioramenti si è passato da fibre naturali come lino e tendini di bue al Dacron fino ad arrivare al moderno Fast Flight che ha una resistenza e rigidità superiore ai cavi d'acciaio.
L’arco non ha avuto importanza rilevante in battaglia nel medioevo fino alla guerra dei Cent’anni tra Inghilterra e Francia. Unità di arcieri sono sempre esistite ma erano sempre considerate di poco conto.
L’arco non è un’arma da sottovalutare. Prove di campo hanno dimostrato che un arco lungo inglese può perforare un’armatura di metallo a 80 metri di distanza. E sono stati proprio gli arcieri che hanno dato la vittoria agli inglesi in quasi tutte le battaglie della guerra dei Cent’anni. Esisteva una legge in Inghilterra per la quale tutti gli abitanti dei villaggi dovevano esercitarsi per almeno due ore ogni domenica al tiro con l’arco. Gli arcieri inglesi erano capaci di tirare fino a 10 frecce al minuto, per una distanza di circa 300mt e tendevano archi con un libraggio tra le 120 e le 170 libbre.
• Longbow o arco lungo: arco gallese (quello di Robin Hood) ha flettenti stretti e molto lunghi, il riser costituisce la sola impugnatura con un piccola finestra.
• Arco ricurvo: il riser è lungo circa 1/3 di tutta la lunghezza dell'arco, i flettenti sono più corti rispetto a quelli del longbow ma sono più larghi. Il profilo dei flettenti con cotrocurvatura garantisce un rendimento maggiore rispetto ad un arco lungo di pari libbraggio.Nei ricurvi moderni i flettenti sono spesso smontabili (arco take down). La maggior massa del riser conferisce maggiore stabilita' durante la fase di rilascio e quindi maggior precisione . Dall'arco ricurvo sono derivati i moderni archi "olimpici" per il tiro alla targa (cerchi concentrici)
• Arco composito: diffusissimo in oriente, ha un'impugnatura corta come il longbow con cui condivide anche la sezione dei flettenti, si differenzia dal fatto che questi ultimi sono composti di corno, ed i limb sono di legno e rigidi, il tutto ricoperto da tendine animale. Inoltre ha una forma tale che permette di caricare i flettenti notevolmente rispetto agli archi di legno.
• Arco compound: è caratterizzato dal fatto che sfrutta il principio dei flettenti semirigidi utilizzando il sistema di leve ad eccentrici (cams in Inglese).
Sopra rispettivamente un arco lungo e un arco composito
Tra i materiali utilizzati dall'antichità ai giorni nostri troviamo il famoso legno di tasso (utilizzato soprattutto in Europa), in tempi più recenti materiali metallici (alluminio forgiato/fresato) e sintetici/polimerici tra cui fibra di vetro e fibra di carbonio.
Anche le corde hanno subito miglioramenti si è passato da fibre naturali come lino e tendini di bue al Dacron fino ad arrivare al moderno Fast Flight che ha una resistenza e rigidità superiore ai cavi d'acciaio.
L’arco non ha avuto importanza rilevante in battaglia nel medioevo fino alla guerra dei Cent’anni tra Inghilterra e Francia. Unità di arcieri sono sempre esistite ma erano sempre considerate di poco conto.
L’arco non è un’arma da sottovalutare. Prove di campo hanno dimostrato che un arco lungo inglese può perforare un’armatura di metallo a 80 metri di distanza. E sono stati proprio gli arcieri che hanno dato la vittoria agli inglesi in quasi tutte le battaglie della guerra dei Cent’anni. Esisteva una legge in Inghilterra per la quale tutti gli abitanti dei villaggi dovevano esercitarsi per almeno due ore ogni domenica al tiro con l’arco. Gli arcieri inglesi erano capaci di tirare fino a 10 frecce al minuto, per una distanza di circa 300mt e tendevano archi con un libraggio tra le 120 e le 170 libbre.
BALESTRA E ARBALESTA
La balestra è un’arma potente e famosa, ma lenta ed ingombrante. Le unità di balestrieri (famosi queli Genovesi) erano relativamente rare ed erano accompagnate dai palvesieri (soldati armati di lancia col compito di posare i grandi palvesi dinanzi ai balestrieri). La balestra deve la sua potenza al fatto che i flettenti dell’arco sono fatti di metallo, ma questo è anche il suo handicap, dato che il caricamento è sempre lungo e laborioso.
La balestra è un’arma potente e famosa, ma lenta ed ingombrante. Le unità di balestrieri (famosi queli Genovesi) erano relativamente rare ed erano accompagnate dai palvesieri (soldati armati di lancia col compito di posare i grandi palvesi dinanzi ai balestrieri). La balestra deve la sua potenza al fatto che i flettenti dell’arco sono fatti di metallo, ma questo è anche il suo handicap, dato che il caricamento è sempre lungo e laborioso.
Balestre antiche
Progetto di una balestra di Leonardo DA Vinci
Il caricamento della balestra veniva fatto a mano o tramite un piccolo argano, quindi la cadenza di tiro (ma anche la gittata) era inferiore a quella di un arco (2 dardi al minuto contro le 10 di un arciere); inolte, dato lo spessore della corda, la balestra risentiva di più degli effetti della pioggia sul campo, come dimostra il fallimento dei balestrieri genovesi alla battaglia di Crecy (1346).
Progetto di una balestra di Leonardo DA Vinci
Il caricamento della balestra veniva fatto a mano o tramite un piccolo argano, quindi la cadenza di tiro (ma anche la gittata) era inferiore a quella di un arco (2 dardi al minuto contro le 10 di un arciere); inolte, dato lo spessore della corda, la balestra risentiva di più degli effetti della pioggia sul campo, come dimostra il fallimento dei balestrieri genovesi alla battaglia di Crecy (1346).
Caccia alla gru con balestra (tacuinum sanitatis casanatensis, XIV secolo)
Più grande di una normale balestra, l'arbalesta aveva un corpo d'acciaio. Le maggiori dimensioni e il maggiore carico di rottura dell'acciaio le consentivano una forza maggiore. Le arbaleste più potenti erano attrezzate con una piccola carrucola per il caricamento, e potevano sprigionare fino a 22 kN (circa 2243 kgf), ed erano precise fino a 900 metri di distanza. Un bravo balestriere avrebbe potuto sparare due colpi al minuto. Le arbaleste erano a volte considerate disumane o scorrette, dato che un arbalestriere senza esperienza avrebbe potuto uccidere un cavaliere di livello superiore.
Un arbalestiere da wikipedia
FROMBOLA
L'origine della frombola è sconosciuta. Sembra svilupparsi indipendentemente universalmente. Il concetto è abbastanza semplice. Una volta che si è cominciato a gettare sassi (o altri proiettili semplici) per cacciare e combattere, la frombola è stata introdotta come estensione del braccio per avere un vantaggio meccanico più grande. Ci sono molti riferimenti alle frombole nei documenti storici. La maggior parte della gente per esempio, conosce la storia di David e di Golia.
Sono state usate dal Sumeri, dagli Assiri e dagli Egiziani, questo anche perché era costoso fornire archi e frecce a migliaia di soldati. Le frombole sono state utilizzate anche dalle formazioni ausiliarie romane come un'arma a lungo raggio poco costosa. Si utilizzavano i proiettili a forma di pallone da football americano che si presume potessero perforare un’armatura.
In generale, la frombola è un'arma difficile da imparare ad usare efficacemente ed a causa di ciò, pochi eserciti hanno utilizzato la frombola nella stessa misura dell'arco o della balestra.
Le frombole sono state utilizzate anche come armi da caccia al di là dell’impiego bellico. Ci sono documenti che descrivono gruppi di cacciatori che uccidono grosse prede con il solo uso delle frombole. Come proiettili si usavano spesso i ciottoli dai fiumi, poiché erano più sferici e lisci, tuttavia in epoca più tarda, presso i celti si iniziarono a vedere i primi proiettili in piombo fuso. La cosa interessante è che questi proiettili venivano fusi in stampi che li marcavano con disegni o frasi di scherno che permettono quasi di risalire al luogo di produzione come le marchiature di un moderno bossolo da arma da fuoco. L'uso delle frombole come arma è diminuito nel tardo Medio Evo a causa degli perfezionamento nel disegno della balestra e dell'arco. L’arco lungo ed la balestra sono diventati sempre più raffinati consentendo più precisione con meno addestramento.
Addirittura si accreditava da parte degli autori antichi alla frombola la capacità di lanciare cosi velocemente questi proietti in piombo da portarli alla liquefazione come scrive Virgilio nell’Eneide.
Le maggiori evidenze dell’uso bellico della frombola presso i celti si trovano presso le rovine degli oppida dove negli angoli delle fortificazioni si sono trovati mucchi di ciottoli simili per dimensioni e peso: risulta evidente che si tratta di “munizioni” preparate per un uso immediato.
L’impiego bellico della frombola,oltre quello della difesa delle fortificazioni, era riservato alla fanteria leggera che la impiegava per creare uno schermo di proiettili in volo che costringevano l’avversario a rallentare la manovra o a coprirsi dietro gli scudi perdendo di vista cosi i movimenti sul campo di battaglia.
Altro uso della frombola era nei luoghi e nelle situazioni dove era difficile condurre combattimenti manovrati come boschi fitti o terreni particolarmente accidentati.
Anche se in misura minore l’uso delle frombole durante il medio evo è sempre stato decisamente importante, visto che, anche se con una minor gittata e precisione, un proiettile di frombola poteva causare decisamente più danni di una freccia (notoriamente più leggera) e era facilmente trasportabile da ogni soldato di fanteria rendendo estremamente versatile in caso di bisogno l’unità.
L’uso moderno della frombola avvenne durante la prima guerra mondiale dove, sul fronte occidentale, fu impiegata per lanciare le bombe a mano da una trincea all’altra e tuttora viene spesso usata nelle guerre urbane spesso in medio oriente e palestina.
http://slinging.org/ (tutte le immagini relative alla frombola)
Le frombole sono state utilizzate anche come armi da caccia al di là dell’impiego bellico. Ci sono documenti che descrivono gruppi di cacciatori che uccidono grosse prede con il solo uso delle frombole. Come proiettili si usavano spesso i ciottoli dai fiumi, poiché erano più sferici e lisci, tuttavia in epoca più tarda, presso i celti si iniziarono a vedere i primi proiettili in piombo fuso. La cosa interessante è che questi proiettili venivano fusi in stampi che li marcavano con disegni o frasi di scherno che permettono quasi di risalire al luogo di produzione come le marchiature di un moderno bossolo da arma da fuoco. L'uso delle frombole come arma è diminuito nel tardo Medio Evo a causa degli perfezionamento nel disegno della balestra e dell'arco. L’arco lungo ed la balestra sono diventati sempre più raffinati consentendo più precisione con meno addestramento.
Addirittura si accreditava da parte degli autori antichi alla frombola la capacità di lanciare cosi velocemente questi proietti in piombo da portarli alla liquefazione come scrive Virgilio nell’Eneide.
Le maggiori evidenze dell’uso bellico della frombola presso i celti si trovano presso le rovine degli oppida dove negli angoli delle fortificazioni si sono trovati mucchi di ciottoli simili per dimensioni e peso: risulta evidente che si tratta di “munizioni” preparate per un uso immediato.
L’impiego bellico della frombola,oltre quello della difesa delle fortificazioni, era riservato alla fanteria leggera che la impiegava per creare uno schermo di proiettili in volo che costringevano l’avversario a rallentare la manovra o a coprirsi dietro gli scudi perdendo di vista cosi i movimenti sul campo di battaglia.
Altro uso della frombola era nei luoghi e nelle situazioni dove era difficile condurre combattimenti manovrati come boschi fitti o terreni particolarmente accidentati.
Anche se in misura minore l’uso delle frombole durante il medio evo è sempre stato decisamente importante, visto che, anche se con una minor gittata e precisione, un proiettile di frombola poteva causare decisamente più danni di una freccia (notoriamente più leggera) e era facilmente trasportabile da ogni soldato di fanteria rendendo estremamente versatile in caso di bisogno l’unità.
L’uso moderno della frombola avvenne durante la prima guerra mondiale dove, sul fronte occidentale, fu impiegata per lanciare le bombe a mano da una trincea all’altra e tuttora viene spesso usata nelle guerre urbane spesso in medio oriente e palestina.
http://slinging.org/ (tutte le immagini relative alla frombola)
Immagine di frombola e tecnica di lancio
La frombola non va confusa con il fustibalus in cui la correggia è fissata all'estremità di un bastone lungo un metro che imprime velocità al proiettile, consentendo una elevata velocità periferica e quindi una elevata forza centrifuga. L'estremità anteriore della cinghia era sistemata in maniera da svincolarsi dal bastone al momento giusto, con un po' di abilità del lanciatore.
La frombola non va confusa con il fustibalus in cui la correggia è fissata all'estremità di un bastone lungo un metro che imprime velocità al proiettile, consentendo una elevata velocità periferica e quindi una elevata forza centrifuga. L'estremità anteriore della cinghia era sistemata in maniera da svincolarsi dal bastone al momento giusto, con un po' di abilità del lanciatore.
Una immagine del 13 secolo raffigurante la battaglia di Sandwich di Matthew Paris mostra un fromboliere in preparazione al lancio di una giara probabilmente contenente materiale infiammabile.
Nel corso dei secoli l’uomo ha sviluppato svariati tipi di arco, le cui caratteristiche tecniche ne dettavano l’utilizzo. In particolare nell’epoca medievale si sono visti sui campi di battaglia archi di diversa origine, di svariate forme e per impieghi diversi dettati dalle strategie militari del singolo esercito.
I più famosi e diffusi sono l’Arco Unno o Ungaro, l’Arco Mongolo e l’Arco Lungo o Longbow.
L’Arco Unno è un arco asimmetrico, composito e riflesso. L’asimmetria dei flettenti, quello superiore più lungo di quello inferiore, permetteva all’arciere di utilizzare l’arco stando in sella al cavallo e di farlo passare da un lato all’altro del collo o del dorso dell’animale con facilità. Lo svantaggio era una scarsa precisione di tiro. Con quest’arma gli Unni sconfissero facilmente le popolazioni germaniche dell’Europa centrale. I popoli provenienti dall’attuale Ungheria migliorarono quest’arma rendendo l’arco simmetrico. Per tirare da cavallo erano però obbligati ad alzarsi sulle staffe.
L’Arco Mongolo è forse quello più diffuso tra le popolazioni asiatiche, comprese quelle del Medio Oriente, Arabi e Turchi. Si tratta di un arco ricurvo costruito con materiale composito in corno di stambecco o bufalo indiano, tendine, legno di betulla e bambolo. Le popolazioni mongole grazie alla cavalleria leggera dotata di arco furono in grado di sbaragliare la resistenza di molti popoli che incontrarono lungo il cammino della conquista verso l’Ovest. L’arco asiatico fu poi utilizzato da diversi altri popoli, in particolare dagli Arabi che, grazie anche alla tattica di attacchi improvvisi e veloci, diedero molto fastidio alle schiere di soldati Franchi durante le Guerre in Terra Santa.
L’Arco Lungo o Longbow è quello che più rappresenta l’arciere europeo del Medioevo. E’ l’arco, per intenderci, di Robin Hood, utilizzato dai temuti arcieri inglesi capaci di sbaragliare la più forte cavalleria medievale, quella francese. E’ questo l’arco usato in prevalenza dagli Arcieri della Compagnia de lo Biscione, sia nella classica versione inglese o gallese, sia nella versione piemontese a sezione piatta.
Il Longbow è un arco monolitico realizzato da un’unica doga di legno con particolari doti di elasticità e di resistenza alla compressione. La sua caratteristica principale, che lo differenzia dalle altre tipologie di arco, è la lunghezza. Dai reperti storici (famosi quelli della Mary Rose del 1545) e dalle numerose citazioni delle cronache dell’epoca, si può affermare che la lunghezza variava dai 5 ai 6 piedi (circa 150-180 cm.). La forma che i Mastri Arcai davano alla doga durante la lavorazione era una particolare sezione a D o ellittica, particolarmente schiacciata per la versione piemontese. L’arco era più spesso al centro per l’impugnatura e si assottigliava sui flettenti verso le punte. A volte per il fissaggio della corda venivano inseriti alle estremità del legno due puntali in corno. La forza di trazione sviluppata da questi archi era tra le 60 e 100 libbre (27-45 kg.), a volte di più. Con le frecce utilizzate in guerra si arrivava ad una gittata di circa 200 metri.
I legni più pregiati per la costruzione di archi monolitici sono senza dubbio il tasso, il maggiociondolo, l’olmo, il corniolo, essenze tipiche del Nord Italia e dell’Europa centrale. Tutte queste tipologie di legno danno ottime prestazioni di resistenza, durevolezza ed elasticità. Il taglio deve essere realizzato in inverno, possibilmente nella prima metà del mese di Febbraio e soprattutto a luna nuova. Queste precauzioni non vengono da riti o credenze ancestrali, ma da motivazioni meccaniche e botaniche. E’ infatti opportuno che al momento del taglio la pianta sia il più possibile a riposo ed è proprio nel periodo dell’anno indicato che l’attività botanica dell’albero (in particolare quella della linfa) è al livello più basso. Una volta tagliato, il tronchetto deve stagionare per almeno sei mesi e verrà in seguito lavorato. I Mastri Arcai della Compagnia degli Arcieri de lo Biscione utilizzano solo strumenti esistenti già nel medioevo, quali la scure, il coltello a due manici, il coltello normale e la pialla. E’ buona norma tenere il legno sempre ingrassato per preservarne l’umidità e prolungarne la vita.
Altro componente fondamentale di un arco è la corda. Nel Medioevo le corde erano realizzate in materiali naturali: fibre animali o vegetali. Le prime erano utilizzate fin dalla preistoria e nell’antichità ed erano ricavate sostanzialmente dalla pelle e dai tendini di animali di grossa taglia. Anche il crine di cavallo e la seta erano impiegati, in particolare in Asia, per la realizzazione di corde d’arco. Le fibre vegetali erano senz’altro le più diffuse in epoca medievale ed in Europa. Fili di canapa e lino venivano attorcigliati in vari trefoli fino a formare una corda del diametro richiesto. Il fissaggio sui flettenti veniva realizzato con nodi scorsoi o asole su tacche realizzate nel legno o in puntali di corno. Interessante i metodi per incordare l’arco, cioè per fissare la corda in posizione con l’arco in tensione (“armato”). Il più diffuso tra gli arcieri medievali consisteva nel bloccare a terra con un piede la punta inferiore dell’arco, spingere verso il basso con una mano l’impugnatura e tirare con l’altra mano verso l’alto la punta superiore, facendo scorrere con il pollice l’asola della corda fino a farla agganciare nella tacca.
Le frecce erano realizzate con aste di legno del diametro di circa 8-10 millimetri, mentre la lunghezza dipendeva dall’arciere o, meglio, dal suo allungo, cioè l’apertura delle braccia al momento della massima tensione dell’arco. Nel caso, invece, di arsenali militari, si realizzavano frecce sufficientemente lunghe per tutti gli arcieri di circa 30 pollici o 76 cm. L’impennaggio era realizzato con tre penne di volatile, il più famoso certamente l’oca grigia o bianca. Le penne avevano una lunghezza fino a 15 cm. in modo da stabilizzare il volo della freccia nei tiri a parabola ed erano fissate sull’asta tramite pece o altre colle naturali ed una legatura a spirale.
Le punte, la vera arma letale per gli avversari, erano realizzate nel Medioevo in ferro forgiato, mentre nei secoli precedenti si utilizzavano punte di selce o bronzo. Esistevano svariate forme di punta in base all’utilizzo. In campo militare possiamo distinguere due tipi principali: a cuspide e con barbigli. La prima, detta quadrella, era utilizzata sostanzialmente contro l’uomo e le sue armature. Con cuspidi molto appuntite e allungate la punta poteva infilarsi e rompere gli anelli di una cotta di maglia o perforare le lamine di un’armatura a placche. Le punte con barbigli, più o meno larghi e lunghi, erano principalmente utilizzati contro i cavalli da guerra. Con questa particolare forma, la punta lacerava le carni degli animali ferendoli e facendoli cadere. Una punta molto particolare a mezza luna veniva utilizzata nelle battaglie navali, in quanto era in grado di tagliare le vele o le cime. Queste punte erano anche utilizzate nella caccia di grossi volatili, in quanto provocavano ferite profonde alle loro ali. Le punte con barbigli venivano utilizzate anche per la caccia ad animali di grossa taglia (cervi, orsi, cinghiali). Una curiosità: sulle tavole imbandite per i banchetti dei nobili, si usava presentare i volatili di piccola taglia intatti completi di penne, come fossero ancora vivi. Per i cacciatori era quindi necessario cercare di lacerare il meno possibile l’animale al momento dell’abbattimento. Si utilizzavano pertanto particolari archi a palla, che funzionavano sul principio della fionda scagliando semplici palline di terra cotta o ferro, abbattendo l’animale senza danneggiarne l’aspetto esteriore.
Le punte venivano fissate sull’asta in due modi: tramite codolo o tramite gorbia. Il codolo, realizzato per battitura, era inserito in una tacca nella punta dell’asta, incollato e legato. La gorbia è un cono realizzato sulla parte posteriore della punta, che veniva infilato sull’asta. Era realizzato tramite cesellatura, oppure battendo un cuneo nella parte posteriore della punta creando una cavità nel ferro, oppure battendo l’estremità posteriore della punta a lamina piatta ed arrotolandola successivamente a cono. In ogni caso la gorbia veniva poi fissata sull’asta tramite colle naturali.
L’accessorio più diffuso, ma non sempre indispensabile, era la faretra per trasportare le frecce. Anche in questo caso esistevano versioni diverse a secondo dell’utilizzo. Durante le battute di caccia si utilizzavano faretre in pelle morbida, in genere di forma cilindrica, aperte in alto, a volte con una leggera intelaiatura in legno. Era spesso legata alla cintura sul fianco destro (per arcieri destri), caso eccezionale gli Arcieri piemontesi che portavano la faretra sulla sinistra utilizzando un sistema particolare per prendere la freccia e portarla all’incocco. Raramente la faretra veniva portata a spalla, al contrario di quanto è spesso rappresentato nelle immagini moderne.
In guerra si utilizzavano, invece, sacche in tela legate alla cintola, più lunghe delle frecce e chiuse con un legaccio. In questo modo durante gli spostamenti, a volte effettuati di corsa e superando ostacoli, non si rischiava di lasciar cadere le frecce. Al momento della battaglie le frecce, in genere a gruppi di 24, venivano infilzate con la punta nel terreno oppure infilate nella cintura sulla schiena. Da qui il detto inglese “ho 24 Scozzesi morti nella cintura”: uno per ogni freccia.
L'uso della balestra in Europa (famosi e molto apprezzati ad esempio i balestrieri francesi o genovesi) continua ininterrottamente dall'epoca classica fino al periodo di maggior popolarità tra l'XI e il XVI secolo, in seguito essa venne abbandonata a favore delle armi da fuoco.
Fino alla comparsa delle prime armi da fuoco, la balestra è stata l'arma più devastante che un singolo soldato poteva utilizzare. Infatti, ha un potere di penetrazione tale da forare le armature dei cavalieri. Inoltre, l'addestramento per il suo utilizzo, rispetto all'arco, risulta più breve.
Comunque la balestra soffre di due handicap rispetto all'arco: la poca maneggiabilità, dovuta al suo peso, che costringe il balestriere a mantenere sostanzialmente la postazione di lancio fissa, e la fase di caricamento che è decisamente più lunga rispetto all'arco. Nella pratica ciò si traduceva nella necessità di assicurarsi un riparo durante la fase di caricamento e, conseguentemente, il suo utilizzo fu soprattutto come arma di difesa, collocata al riparo delle fortificazioni. Proprio per migliorare l'efficacia dei balestrieri in campo aperto, soprattutto in presenza di tiratori nella parte avversaria, venne introdotto l'uso dei pavesi, grandi scudi di legno dietro cui i balestrieri si proteggevano durante la lenta fase di ricarica. Tali scudi potevano essere assicurati dietro la schiena oppure portati da un addetto, chiamato "palvesario". Proprio l'assenza dei pavesi nei ranghi dei balestrieri genovesi al servizio del re Filippo VI di Francia portò alla sconfitta francese a Crecy. Sempre nella medesima battaglia i francesi ricorsero allo stratagemma di montare su carri grosse balestre da postazione, in grado di scagliare frecce ad oltre 500 m, e con la possibilità quindi di essere spostate sul fronte, ma le cattive condizioni atmosferiche che avevano reso un pantano il campo di battaglia ne limitò l'utilizzo.
La balestra comportò un discreto cambiamento nelle strategie utilizzate in battaglia, ma soprattutto modificò l'approccio alla battaglia da parte dei nobili, che fino ad allora, protetti dalle armature e a cavallo, avevano sempre buone possibilità di uscire ancora vivi dallo scontro. Con l'uso massiccio delle balestre il rischio di morire aumentava considerevolmente. Inoltre, anche l'approccio delle battaglie venne generalmente preceduto dall'intervento dei tiratori che, sfruttando la vasta gittata e potenza delle balestre, potevano sfoltire i ranghi avversari prima del corpo a corpo e ripararsi in fretta dietro le vicine linee amiche se caricate da truppe di cavalleria, le cui cavalcature si dimostrarono comunque molto vulnerabili ai proiettili (il che li rendeva un facile bersaglio se esposte) o risultavano più lente se coperte da corazze abbastanza spesse da assicurare un'adeguata protezione all'animale (permettendo il riparo dei tiratori). Spesso le battaglie venivano precedute da un confronto a distanza tra i tiratori delle parti avversarie: il vincitore, una volta sgominati i tiratori nemici, avrebbe avuto un importante vantaggio tattico, mantenendo la possibilità di colpire a distanza le truppe avversarie e di coprire quelle amiche nell'avanzata e soprattutto impedendo al nemico ogni possibilità di fare altrettanto.
La balestra modificò a tal punto le regole dell'ingaggio in battaglia che il suo uso fu spesso osteggiato. Lo stesso papa Innocenzo II, durante il Concilio Laterano II del 1139, vietò l'utilizzo della balestra tra eserciti cristiani, mentre, non potendo avere influenza sugli eserciti musulmani e gli eretici, lo consentì contro questi.
I più famosi e diffusi sono l’Arco Unno o Ungaro, l’Arco Mongolo e l’Arco Lungo o Longbow.
L’Arco Unno è un arco asimmetrico, composito e riflesso. L’asimmetria dei flettenti, quello superiore più lungo di quello inferiore, permetteva all’arciere di utilizzare l’arco stando in sella al cavallo e di farlo passare da un lato all’altro del collo o del dorso dell’animale con facilità. Lo svantaggio era una scarsa precisione di tiro. Con quest’arma gli Unni sconfissero facilmente le popolazioni germaniche dell’Europa centrale. I popoli provenienti dall’attuale Ungheria migliorarono quest’arma rendendo l’arco simmetrico. Per tirare da cavallo erano però obbligati ad alzarsi sulle staffe.
L’Arco Mongolo è forse quello più diffuso tra le popolazioni asiatiche, comprese quelle del Medio Oriente, Arabi e Turchi. Si tratta di un arco ricurvo costruito con materiale composito in corno di stambecco o bufalo indiano, tendine, legno di betulla e bambolo. Le popolazioni mongole grazie alla cavalleria leggera dotata di arco furono in grado di sbaragliare la resistenza di molti popoli che incontrarono lungo il cammino della conquista verso l’Ovest. L’arco asiatico fu poi utilizzato da diversi altri popoli, in particolare dagli Arabi che, grazie anche alla tattica di attacchi improvvisi e veloci, diedero molto fastidio alle schiere di soldati Franchi durante le Guerre in Terra Santa.
L’Arco Lungo o Longbow è quello che più rappresenta l’arciere europeo del Medioevo. E’ l’arco, per intenderci, di Robin Hood, utilizzato dai temuti arcieri inglesi capaci di sbaragliare la più forte cavalleria medievale, quella francese. E’ questo l’arco usato in prevalenza dagli Arcieri della Compagnia de lo Biscione, sia nella classica versione inglese o gallese, sia nella versione piemontese a sezione piatta.
Il Longbow è un arco monolitico realizzato da un’unica doga di legno con particolari doti di elasticità e di resistenza alla compressione. La sua caratteristica principale, che lo differenzia dalle altre tipologie di arco, è la lunghezza. Dai reperti storici (famosi quelli della Mary Rose del 1545) e dalle numerose citazioni delle cronache dell’epoca, si può affermare che la lunghezza variava dai 5 ai 6 piedi (circa 150-180 cm.). La forma che i Mastri Arcai davano alla doga durante la lavorazione era una particolare sezione a D o ellittica, particolarmente schiacciata per la versione piemontese. L’arco era più spesso al centro per l’impugnatura e si assottigliava sui flettenti verso le punte. A volte per il fissaggio della corda venivano inseriti alle estremità del legno due puntali in corno. La forza di trazione sviluppata da questi archi era tra le 60 e 100 libbre (27-45 kg.), a volte di più. Con le frecce utilizzate in guerra si arrivava ad una gittata di circa 200 metri.
I legni più pregiati per la costruzione di archi monolitici sono senza dubbio il tasso, il maggiociondolo, l’olmo, il corniolo, essenze tipiche del Nord Italia e dell’Europa centrale. Tutte queste tipologie di legno danno ottime prestazioni di resistenza, durevolezza ed elasticità. Il taglio deve essere realizzato in inverno, possibilmente nella prima metà del mese di Febbraio e soprattutto a luna nuova. Queste precauzioni non vengono da riti o credenze ancestrali, ma da motivazioni meccaniche e botaniche. E’ infatti opportuno che al momento del taglio la pianta sia il più possibile a riposo ed è proprio nel periodo dell’anno indicato che l’attività botanica dell’albero (in particolare quella della linfa) è al livello più basso. Una volta tagliato, il tronchetto deve stagionare per almeno sei mesi e verrà in seguito lavorato. I Mastri Arcai della Compagnia degli Arcieri de lo Biscione utilizzano solo strumenti esistenti già nel medioevo, quali la scure, il coltello a due manici, il coltello normale e la pialla. E’ buona norma tenere il legno sempre ingrassato per preservarne l’umidità e prolungarne la vita.
Altro componente fondamentale di un arco è la corda. Nel Medioevo le corde erano realizzate in materiali naturali: fibre animali o vegetali. Le prime erano utilizzate fin dalla preistoria e nell’antichità ed erano ricavate sostanzialmente dalla pelle e dai tendini di animali di grossa taglia. Anche il crine di cavallo e la seta erano impiegati, in particolare in Asia, per la realizzazione di corde d’arco. Le fibre vegetali erano senz’altro le più diffuse in epoca medievale ed in Europa. Fili di canapa e lino venivano attorcigliati in vari trefoli fino a formare una corda del diametro richiesto. Il fissaggio sui flettenti veniva realizzato con nodi scorsoi o asole su tacche realizzate nel legno o in puntali di corno. Interessante i metodi per incordare l’arco, cioè per fissare la corda in posizione con l’arco in tensione (“armato”). Il più diffuso tra gli arcieri medievali consisteva nel bloccare a terra con un piede la punta inferiore dell’arco, spingere verso il basso con una mano l’impugnatura e tirare con l’altra mano verso l’alto la punta superiore, facendo scorrere con il pollice l’asola della corda fino a farla agganciare nella tacca.
Le frecce erano realizzate con aste di legno del diametro di circa 8-10 millimetri, mentre la lunghezza dipendeva dall’arciere o, meglio, dal suo allungo, cioè l’apertura delle braccia al momento della massima tensione dell’arco. Nel caso, invece, di arsenali militari, si realizzavano frecce sufficientemente lunghe per tutti gli arcieri di circa 30 pollici o 76 cm. L’impennaggio era realizzato con tre penne di volatile, il più famoso certamente l’oca grigia o bianca. Le penne avevano una lunghezza fino a 15 cm. in modo da stabilizzare il volo della freccia nei tiri a parabola ed erano fissate sull’asta tramite pece o altre colle naturali ed una legatura a spirale.
Le punte, la vera arma letale per gli avversari, erano realizzate nel Medioevo in ferro forgiato, mentre nei secoli precedenti si utilizzavano punte di selce o bronzo. Esistevano svariate forme di punta in base all’utilizzo. In campo militare possiamo distinguere due tipi principali: a cuspide e con barbigli. La prima, detta quadrella, era utilizzata sostanzialmente contro l’uomo e le sue armature. Con cuspidi molto appuntite e allungate la punta poteva infilarsi e rompere gli anelli di una cotta di maglia o perforare le lamine di un’armatura a placche. Le punte con barbigli, più o meno larghi e lunghi, erano principalmente utilizzati contro i cavalli da guerra. Con questa particolare forma, la punta lacerava le carni degli animali ferendoli e facendoli cadere. Una punta molto particolare a mezza luna veniva utilizzata nelle battaglie navali, in quanto era in grado di tagliare le vele o le cime. Queste punte erano anche utilizzate nella caccia di grossi volatili, in quanto provocavano ferite profonde alle loro ali. Le punte con barbigli venivano utilizzate anche per la caccia ad animali di grossa taglia (cervi, orsi, cinghiali). Una curiosità: sulle tavole imbandite per i banchetti dei nobili, si usava presentare i volatili di piccola taglia intatti completi di penne, come fossero ancora vivi. Per i cacciatori era quindi necessario cercare di lacerare il meno possibile l’animale al momento dell’abbattimento. Si utilizzavano pertanto particolari archi a palla, che funzionavano sul principio della fionda scagliando semplici palline di terra cotta o ferro, abbattendo l’animale senza danneggiarne l’aspetto esteriore.
Le punte venivano fissate sull’asta in due modi: tramite codolo o tramite gorbia. Il codolo, realizzato per battitura, era inserito in una tacca nella punta dell’asta, incollato e legato. La gorbia è un cono realizzato sulla parte posteriore della punta, che veniva infilato sull’asta. Era realizzato tramite cesellatura, oppure battendo un cuneo nella parte posteriore della punta creando una cavità nel ferro, oppure battendo l’estremità posteriore della punta a lamina piatta ed arrotolandola successivamente a cono. In ogni caso la gorbia veniva poi fissata sull’asta tramite colle naturali.
L’accessorio più diffuso, ma non sempre indispensabile, era la faretra per trasportare le frecce. Anche in questo caso esistevano versioni diverse a secondo dell’utilizzo. Durante le battute di caccia si utilizzavano faretre in pelle morbida, in genere di forma cilindrica, aperte in alto, a volte con una leggera intelaiatura in legno. Era spesso legata alla cintura sul fianco destro (per arcieri destri), caso eccezionale gli Arcieri piemontesi che portavano la faretra sulla sinistra utilizzando un sistema particolare per prendere la freccia e portarla all’incocco. Raramente la faretra veniva portata a spalla, al contrario di quanto è spesso rappresentato nelle immagini moderne.
In guerra si utilizzavano, invece, sacche in tela legate alla cintola, più lunghe delle frecce e chiuse con un legaccio. In questo modo durante gli spostamenti, a volte effettuati di corsa e superando ostacoli, non si rischiava di lasciar cadere le frecce. Al momento della battaglie le frecce, in genere a gruppi di 24, venivano infilzate con la punta nel terreno oppure infilate nella cintura sulla schiena. Da qui il detto inglese “ho 24 Scozzesi morti nella cintura”: uno per ogni freccia.
L'uso della balestra in Europa (famosi e molto apprezzati ad esempio i balestrieri francesi o genovesi) continua ininterrottamente dall'epoca classica fino al periodo di maggior popolarità tra l'XI e il XVI secolo, in seguito essa venne abbandonata a favore delle armi da fuoco.
Fino alla comparsa delle prime armi da fuoco, la balestra è stata l'arma più devastante che un singolo soldato poteva utilizzare. Infatti, ha un potere di penetrazione tale da forare le armature dei cavalieri. Inoltre, l'addestramento per il suo utilizzo, rispetto all'arco, risulta più breve.
Comunque la balestra soffre di due handicap rispetto all'arco: la poca maneggiabilità, dovuta al suo peso, che costringe il balestriere a mantenere sostanzialmente la postazione di lancio fissa, e la fase di caricamento che è decisamente più lunga rispetto all'arco. Nella pratica ciò si traduceva nella necessità di assicurarsi un riparo durante la fase di caricamento e, conseguentemente, il suo utilizzo fu soprattutto come arma di difesa, collocata al riparo delle fortificazioni. Proprio per migliorare l'efficacia dei balestrieri in campo aperto, soprattutto in presenza di tiratori nella parte avversaria, venne introdotto l'uso dei pavesi, grandi scudi di legno dietro cui i balestrieri si proteggevano durante la lenta fase di ricarica. Tali scudi potevano essere assicurati dietro la schiena oppure portati da un addetto, chiamato "palvesario". Proprio l'assenza dei pavesi nei ranghi dei balestrieri genovesi al servizio del re Filippo VI di Francia portò alla sconfitta francese a Crecy. Sempre nella medesima battaglia i francesi ricorsero allo stratagemma di montare su carri grosse balestre da postazione, in grado di scagliare frecce ad oltre 500 m, e con la possibilità quindi di essere spostate sul fronte, ma le cattive condizioni atmosferiche che avevano reso un pantano il campo di battaglia ne limitò l'utilizzo.
La balestra comportò un discreto cambiamento nelle strategie utilizzate in battaglia, ma soprattutto modificò l'approccio alla battaglia da parte dei nobili, che fino ad allora, protetti dalle armature e a cavallo, avevano sempre buone possibilità di uscire ancora vivi dallo scontro. Con l'uso massiccio delle balestre il rischio di morire aumentava considerevolmente. Inoltre, anche l'approccio delle battaglie venne generalmente preceduto dall'intervento dei tiratori che, sfruttando la vasta gittata e potenza delle balestre, potevano sfoltire i ranghi avversari prima del corpo a corpo e ripararsi in fretta dietro le vicine linee amiche se caricate da truppe di cavalleria, le cui cavalcature si dimostrarono comunque molto vulnerabili ai proiettili (il che li rendeva un facile bersaglio se esposte) o risultavano più lente se coperte da corazze abbastanza spesse da assicurare un'adeguata protezione all'animale (permettendo il riparo dei tiratori). Spesso le battaglie venivano precedute da un confronto a distanza tra i tiratori delle parti avversarie: il vincitore, una volta sgominati i tiratori nemici, avrebbe avuto un importante vantaggio tattico, mantenendo la possibilità di colpire a distanza le truppe avversarie e di coprire quelle amiche nell'avanzata e soprattutto impedendo al nemico ogni possibilità di fare altrettanto.
La balestra modificò a tal punto le regole dell'ingaggio in battaglia che il suo uso fu spesso osteggiato. Lo stesso papa Innocenzo II, durante il Concilio Laterano II del 1139, vietò l'utilizzo della balestra tra eserciti cristiani, mentre, non potendo avere influenza sugli eserciti musulmani e gli eretici, lo consentì contro questi.
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