domenica 26 settembre 2010

LE IMPRONTE DEL DIAVOLO

LE IMPRONTE DEL DIAVOLO
L'inverno del 1885 fu eccezionalmente severo per il sudovest dell'Inghilterra, regione solitamente visitata da climi niente affatto rigidi. La mattina dell'8 febbraio, il signor Albert Brailsford, preside della scuola di un paesino nel Devon, si avvicinò alla finestra del salotto per vedere se nella notte era nevicato. Di colpo, la sua attenzione era stata attratta da una linea di impronte, o meglio, orme caprine che si sviluppavano lungo la strada che conduceva al villaggio. A prima vista si sarebbero dette normali impronte di un cavallo ferrato, ma a meglio osservare si capiva che non poteva essere, dal momento che erano perfettamente disposte lungo un'unica
linea perfettamente diritta, come se le zampe dell'animale fossero state messe una davanti all'altra.
Fosse stato un cavallo avrebbe dovuto avere una sola gamba sulla quale saltellare. Se invece la misteriosa creatura possedeva due zampe, procedeva con grande attenzione, come un equilibrista su un filo teso. Ma ciò che ancor più era curioso, consisteva nel fatto che le impronte, non più lunghe di 10 cm, distavano fra loro soltanto 16 cm. Infine, risultavano nitidissime, come se fossero state ottenute immergendo nella neve una sagoma di ferro riscaldato. La curiosità prevalse e i cittadini seguirono le orme fino alla fine del percorso, che andava a terminare contro un muro di mattoni. Ma le sorprese non erano finite. Le impronte infatti riprendevano proprio al di là della parete, senza però che la coltre di neve accumulatasi sulla parte alta del muro risultasse in qualche modo calpestata. Poi le impronte raggiungevano un covone di grano, per ritrovarsi oltre, senza che, anche in questo caso, si notasse il passaggio di qualche corpo pesante. E non bastava ancora. Passavano sotto un cespuglio di rosa spina e sopra alcuni tetti. Insomma, era come se qualche burlone equilibrista si fosse divertito durante la notte a costruire un rompicapo per i poveri villici. L'ipotesi di un giocherellone venne però subito scartata. Le orme sembravano non finire mai. Ne vennero trovate ancora a parecchi chilometri di distanza dalla periferia del paese, lungo la campagna del Devon. Sembravano procedere in modo disordinato ed erratico per andare a toccare alcune altre piccole città e villaggi. Se si trattava davvero di un burlone equilibrista, doveva aver fatto una bella faticaccia per coprire più di 50 km nel gelo della notte e in mezzo alla neve fresca e alta. Per di più doveva avere anche una certa fretta, visto che le impronte si fermavano sovente sul limitare delle porte, ma solo per invertire la direzione e dirigersi nuovamente altrove. Ad un certo punto, avevano valicato l'estuario del fiume Exe. Tuttavia, al di la, vale a dire a Exmouth, non se ne incontravano più, come se il misterioso essere fosse ritornato sui suoi passi. Ovviamente, in tutto quell'itinerario, non esisteva alcuna logica, era come un percorso fatto a casaccio. In certi punti, le impronte di "cavallo"' presentavano una fenditura nel mezzo, facendo pensare a uno zoccolo spezzato. Siamo in piena era vittoriana e nessuno fra i contadini di quei luoghi dubitava dell'esistenza del diavolo. A questo pensiero qualcuno aveva imbracciato una doppietta e si era messo a caccia. La notte tutti chiusero accuratamente le porte di casa, tenendo i fucili a portata di mano, a fianco del letto. Ci volle una settimana prima che la notizia venisse riportata dai giornali. Il primo a raccontarla fu il londinese «Times» il 16 febbraio 1855, aggiungendo che erano stati molti i contadini a trovare le misteriose tracce nei cortili delle loro case. Il giorno dopo era toccato alla «Plymouth Gazette», la quale riportava l'idea di un prete che suggeriva trattarsi di un canguro, dimenticando che il canguro ha zampe artigliate. Ipotesi contestata e contrastata da quella, certamente più plausibile, presentata sul «Flying Post» che indicava in un uccello la probabile causa del misterioso percorso di orme. Teoria immediatamente smontata da un altro articolo comparso su «Illustrated London News» in cui si faceva osservare che non esiste al mondo alcun uccello munito di zoccoli ferrati! In aggiunta, l'articolista segnalava che, pur avendo trascorso oltre cinque mesi nelle distese innevate del Canada, non gli era mai capitato di osservare impronte simili. Il 3 marzo, sull'«Illustrated London News» il grande naturalista e anatomista Richard Owen sentenziava che l'analisi scientifica delle impronte parlava a favore di un tasso. Quella notte, evidentemente, alcuni tassi si erano ridestati dal sonno invernale ed erano usciti dalle tane alla ricerca di cibo. Ipotesi plausibile, peccato che Owen non spiegasse per quale stravagante motivo tutti quei tassi avessero deciso di andare a caccia saltellando su una sola zampa. Un altro testimone, un medico, rivelò assieme ad un collega «di aver impegnato non poche ore nell’approfondito studio delle peculiarità intrinseche di quelle particolari impronte» (in tempi vittoriani si provava una qual certa soddisfazione nell'utilizzare linguaggi tanto pomposi per arrivare a non affermare nulla). Egli dichiarò che «a seguito di minuziose osservazioni era stato possibile porre in risalto che l'impronta del misterioso zoccolo era costituita da dita e pianta certamente ascrivibili a un qualche animale», nella fattispecie si trattava di una lontra. Un altro reporter ancora, che si firmava con lo pseudonimo di "Ornither", disse che si trattava certamente delle orme lasciate dietro di sé da un'otarda, dal momento che le dita esterne risultavano arrotondate. Un altro gentiluomo di Sudbury dichiarò che negli ultimi tempi nella sua zona aveva notato alcuni grossi ratti scorrazzare nei campi di patate. Le impronte lasciate dai grossi topi erano del tutto simili a quelle misteriose, che i giornali già battezzavano "impronte del diavolo". I ratti, saltellando in mezzo alla neve e atterrando ad ogni balzo sul corpo intero avevano lasciato quei segni, per combinazione simili a impronte di zoccoli di animali. Un corrispondente scozzese parlò di lepre o moffetta, a zonzo a caccia di cibo. La stravaganza e la difformità di tutte queste spiegazioni, così stralunale e assurde, si giustificava con l'obiettiva difficoltà di trovare una risposta al mistero. La questione meno comprensibile - quella che sfidava ogni ipotesi, stava nella singolare disposizione delle impronte, una in fila all’ altra seguendo una linea retta, come se fossero state lasciate da un animale dotato di una sola zampa. Senza dimenticare, poi, la complicazione aggiuntiva di capire come lo strano essere avesse potuto percorrere in quelle condizioni, al freddo e di notte, oltre 50 km. Forse l'ipotesi più plausibile venne proposta da Geoffrey Household, il quale nel 1985 ha pubblicato un libro in cui sono raccolte tutte le testimonianze legate a questo caso misterioso. Ecco la possibile, logica, spiegazione dei fatti: “sono propenso a ritenere che quella notte dal centro del porto militare di Devonport si sia innalzato, forse a seguito di qualche disguido, un pallone sonda. Libero dagli ormeggi, ha potuto sorvolare la zona senza alcun controllo. Dall'oggetto pendevano due sacchetti appesi a delle funi. Sono stati questi pesi a lasciare le impronte e questo spiega anche come mai ne sono state trovate pure sui tetti delle case... Il maggiore Carter, un uomo del posto, mi ha detto che il nonno all'epoca lavorava proprio alla base di Devonport e che una volta gli aveva raccontato del pallone, la cui "fuga" accidentale aveva provocato danni a giardini, serre, fienili, finestre un po' ovunque nella zona. Alla fine aveva terminato il viaggio precipitando nei pressi di Honiton.”
Si tratta senz'altro di un'informazione importante che potrebbe spiegare la dinamica di ciò che successe. Ma, pur dandola per buona, c'è almeno ancora un dettaglio che non quadra. Se si da un'occhiata su una cartina geografica alla serie di impronte, si nota immediatamente che fanno ampi, indecifrabili giri fra i centri di Topsham e Exmouth. Un pallone sonda si sarebbe "comportato" in un modo tanto disordinato? Non avrebbe, invece, seguito un percorso lungo una linea retta, nella direzione del vento prevalente, che quella notte, detto per inciso, soffiava da est? Il problema fu, come già si è detto, il grave ritardo con cui i mass media presero a interessarsi del problema. Nel frattempo, infatti, la maggior parte degli elementi salienti del caso erano già stati alterati. Per esempio, sarebbe stato interessante sapere se la neve caduta quella notte era stata la prima neve di quel febbraio del 1885. Quell'anno l'inverno era stato particolarmente rigido e non è da escludere che molti piccoli ammali come ratti, conigli e tassi avessero interrotto il letargo per uscire anzitempo dalle tane a caccia di cibo. Una lettera inviata al giornale «Plymouth Gazette» datata 17 febbraio inizia con queste parole: «La notte di giovedì 8 febbraio è stata caratterizzata da un'intensa nevicata, cui ha fatto seguito pioggia e un forte vento da est, e una rigida brinata la mattina». Certamente, la notte in giro per la zona c'erano molti piccoli animali a caccia di cibo. Ma soltanto il venerdì mattina, sul nuovo e fresco mantello di neve, era stato possibile osservare le impronte. Queste, oltre tutto, avrebbero potuto essere rimarcate dalla pioggia che aveva ulteriormente scavato nel manto nevoso, per solidificarsi la mattina per la forte brinata. Questo, per esempio, spiegherebbe bene l'impressione che molti osservatori ebbero di impronte come "impresse a viva forza" nella neve. Però se il terreno era già ricoperto di neve prima della notte dell' 8 febbraio, ecco che allora pure questa plausibile teoria deve essere abbandonata. Quand'anche la si desse per valida, non si comprende come mai alcune impronte siano state ritrovate sulla sommità dei muri, sui covoni, sui tetti... Insomma, un bel rebus. Un mistero che, dopo tanti anni, continua a restare insoluto.

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